Autobiografia giovanile - Cap.2 - Tra prima e seconda infanzia

Da sempre appassionato di sviluppo cognitivo, psicologia infantile e neuroscienze, attribuisco molta importanza ai miei ricordi della prima infanzia. Ovviamente, come credo valga per tutti, i ricordi di quel periodo sono un puzzle formato da due tipi di tessere: i ricordi effettivamente personali e quelli di altre persone che hanno assistito ai miei primi anni di vita e mi hanno raccontato alcuni loro ricordi di me: sia episodi sia comportamenti e atteggiamenti. A questi si aggiungono quelli desunti da fotografie dell'epoca. O un da un mix di racconti e foto, come per esempio per quanto riguarda le prime vacanze nel '60, '61, '62 e '63.

In campagna con un pupazzo gonfiabile 

Se penso a quale possa essere il mio primo ricordo personale, mi viene sempre in mente questo momento. Era un tardo pomeriggio invernale o una sera: comunque era buio. Mi trovavo con i miei genitori a passeggio in una via del quartiere di Milano in cui vivevamo; se posso fare un'ipotesi, poteva essere via Soderini, che incrociava la via D'Alviano, in cui abitavamo. Potevo avere circa due o tre anni. Ero molto probabilmente seduto su un passeggino. Mi sono soffermato a lungo a guardare la luce arancione-giallastra di un lampione, che faceva contrasto con il cielo buio. Quasi sicuramente indicavo la luce con un dito ed emettevo dei versi. I miei genitori, in piedi intorno a me, dicevano qualcosa su quella luce.

La luce è protagonista anche di un altro ricordo precoce. Era sempre sera, camminavamo su un marciapiedi sinistro di via Lorenteggio in direzione centro città, verso Piazza Frattini, per poi girare a sinistra e svoltare in via D'Alviano. Classica passeggiata prima di cena. Credo fossimo in quattro: io, Cristiano e i genitori. A un certo punto, dato che allora ero basso, ho notato alla mia sinistra una finestra che dava su uno scantinato. La stanza era buia ma notavo la sagoma di qualcosa di grosso, scuro, con una finestrella che faceva intravedere una fiamma rossa. Con il senno di poi ho capito che era una caldaia condominiale. Sono stato un po' a osservare la scena. Credo che sia stato dopo quella visione che ho iniziato ad avere un incubo ricorrente, durato per qualche anno. Nel sogno mi vedevo a fianco di un grosso macchinario che avevo distrutto e mi sentivo angosciato e in colpa per il fatto che i miei genitori avrebbero dovuto pagare i danni che avevo provocato. Non ho mai raccontato ai miei genitori di questo sogno ricorrente.

Altra esperienza con la luce. Un giorno, probabilmente invernale, osservai dalla mia camera il cielo fuori dalla finestra. Rimasi a guardare a lungo il cerchio del sole che appariva con una luminosità tenue (tale da poter essere osservato per qualche secondo senza provocare danni alla vista) attraverso una vasta coltre di nubi. Associo a questa visione la presa di coscienza anche di vivere in una città. 

Fra i ricordi di quell'epoca di altri, riportati a me in anni successivi, invece segnalo questi tre.

Dopo essere stato svezzato, non sempre per i miei era facile farmi mangiare quando volevano loro. Per distrarmi, e permettere a mia madre di imboccarmi, mio padre apriva un ombrello, lo posava sul pavimento dalla parte della punta, vi metteva dentro i miei pupazzi e li faceva girare. Io rimanevo estasiato a guardare i giocattoli roteare e, nel frattempo, ingoiavo il cibo.

A un anno, sul balcone della casa dei miei nonni materni (Matteo Cusumano e Carlotta Barbieri) situata in via Venini (zona Stazione Centrale-Piazzale Loreto-Viale Monza) ho mangiato una foglia di oleandro e poi sono stato male.

Sul balcone della casa dei nonni prima di mangiare l'oleandro

Sempre a casa dei miei nonni materni, e sempre in tenera età, mi sono aggrappato al piano di marmo di un tavolino. Questo non era fissato e quindi si è spostato, io sono caduto e il piano mi ha seguito. Uno spigolo è caduto sul dito anulare della mia mano destra, provocando la rottura di un tendine a fra la terza e la seconda falange. In quegli anni la chirurgia della mano non aveva raggiunto i traguardi di oggi, e così la terza falange è rimasta per sempre leggermente piegata. Mia madre mi raccontava che mio nonno, con il quale mi trovavo in quel momento, si è sempre sentito in colpa per quanto era successo. 

Siccome non avevamo la macchina, per andare a trovare i miei nonni materni servivano, ogni volta, due mezzi pubblici: un autobus e un tram e vicevera. Vicino a casa nostra passavano due linee di autobus. Una la potevamo prendere in piazza Frattini e l'altra, se non sbaglio, passava o da via Soderini o piazza Bande Nere. In questa piazza c'era u un plinto che ho scoperto, qualche anno fa, esserci ancora. 

Riccardo Cervelli piccolo
Io in posa sul plinto di piazza Bande Nere

Della casa dei miei nonni materni in via Venini, dove erano cresciuti sia mia mamma sia mio Zio materno Miro Cusumano  (dopo i primissimi anni vissuti in una villetta di via Tiepolo, a Città Studi), ho anche moti dei primi ricordi personali diretti. E così ricordo molto bene anche dell'interno della casa. 

Sempre nella casa di via Venini c'era la televisione, che non avevamo nella casa di via D'Alviano.

C'era un vecchio pianoforte a muro (costruito nel 1898) sul quale strimpellavo e ho dimostrato di avere un notevole orecchio musicale visto che riuscivo - senza conoscere ancora una nota - a riprodurre sulla tastiera alcune melodie di canzoni ascoltate spesso. In quell'epoca, dai racconti dei miei genitori so che amavo canticchiare Il tuo bacio è come un rock (1959) di Adriano Celentano. Sicuramente al piano riproducevo delle melodie di jingle degli spot di Carosello. Mia nonna, qualche volta, mi insegnava a suonare la scala musicale di do maggiore, associando le note ascendenti con la prima metà di una canzoncina e quelle discendenti con la seconda metà. La prima parte era: "Hanno fatto i pesciolini una casa in fondo al mar". La seconda: "L'hanno fatta di cristallo per potersi rispecchiar".

Le vie e le piazze intorno a via Venini erano molto più vive e più ricche di attrazioni di quelle del quartiere Lorenteggio. Ricordo che in un posto in cui passavo spesso con mio nonno c'era una fontana. Credo che quel posso fosse il sottopasso fra viale Monza e viale Padova, dove oggi c'è un centro commerciale.

Compiendo una passeggiata verso il centro città si poteva arrivare c'erano Giardini Pubblici di Porta Venezia (oggi Giardini Indro Montanelli), dove, fra le varie attrazioni per bambini (fra cui un trenino, che c'era ancora quando vi ho portato molti anni dopo i miei figli) e uno zoo a cui si entrava dalla parte di via Manin). Nello zoo c'era un pony sul quale i bambini potevano fare una breve passeggiata e farsi fotografare. Conservo con piacere una foto su questo cavallino che ho trovato in versioni identiche su Internet con altri bambini. Dalla foto non si capisce se ero contento o spaventato, oppure annoiato per dover posare. 

Riccardo Cervelli piccolo
Io sul pony dello zoo di Milano

Di seguito, infine, una serie di ricordi personali diretti relativi a esperienze vissute nel mio quartiere di via D'Alviano.

Rammento un prato dietro ai nostri caseggiati in direzione Ovest, su cui pascolava un asino. Di campi ce n'erano ancora molti, in quei tempi, nelle periferie di Milano. E spesso i nostri genitori ci portavano lì a giocare e scattarci foto.


Infine, un giorno, sulla stradina davanti al portone di casa, trovai una lametta. La raccolsi e mio fratello cercò di strapparmela. Così mi causai un taglio abbastanza lungo profondo sul palmo della mano destra, sotto il pollice. Un vicino mi portò all'Ospedale Militare di Baggio, che era quello più velocmente raggiungibile, dove venni medicato. Ora ho una piccola cicatrice a ricordo di quel momento della mia infanzia.

D'altra parte neanch'io non attentavo alla salute di mio fratello. Una volta gli feci ingoiare un chiodo. Per fortuna, come risultò da una radiografia, esso si appoggiò con la testa su una parete interna dello stomaco e fu in seguito espulso dal corpo con le feci.

Per restare in tema sanitario, un pomeriggio, mentre tornavamo da piazza Bande Nere a casa percorrendo la via D'Alviano, all'incrocio con via Soderini vidi per la prima volta la scena di un incidente stradale.  Il o i feriti erano già stati portati via, ma per terra c'era ancora una striscia di sangue. Una vista che mi rimase impressa.


Riccardo Cervelli piccolo
Io su un prato con un asino giocattolo

(riproduzione riservata - Riccardo Cervelli 2022)

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