Mobilità sostenibile: mio articolo su strategie Eni

 Un tema molto attuale e affascinante. Permette di parlare di come cambiaranno i mezzi di trasporto dal punto di vista delle modalità di acquisto o utilizzo in condivisione; di nuove tipologie di propulsione; dei biocarburanti. Il tutto visto attraverso l'ottica della grande azienda energetica italiana fondata da Enrico Mattei, con attività in mezzo mondo.

https://www.ilgiornale.it/news/economia/eni-investe-e-accelera-sulla-mobilit-sostenibile-2087031.html

Autobiografia da adulto - Cap. 2 - Primi mesi del 1980

 Il mio ingresso negli anni Ottanta è quello di un giovane molto cambiato rispetto a quello dell’adolescenza. Nel giro di pochi mesi, dalla ripresa della pratica buddhista nella Soka Gakkai, avvenuta a settembre 1979, il mio modo di vivere le giornate, gli amici con cui passo la maggior parte del tempo, persino il mio modo di vestire, si sono modificati. Non sono più un mezzo (se non totale) frikkettone. Mantengo poche abitudini trasgressive del mio essere precedente, mentre riprendo e riparto da quelle più costruttive, mettendo al centro il rispetto di me stesso, per la mia dignità, per la mia salute, per il mio futuro e per le altre persone.

Da novembre 1979 frequento il primo anno del corso di laurea in Fisica dell’Università Statale di Milano, in via Celoria. Durante i primi giorni dell’anno accademico incontro in facoltà il mio compagno di banco del biennio del liceo scientifico, che avevo frequentato al liceo Einstein. Era dai primi mesi del 1976 che non lo vedevo più. Un pomeriggio, mentre facciamo una passeggiata nel giardino della facoltà, gli parlo del Buddhismo di Nichiren Daishonin. Rimane meravigliato quando gli faccio ascoltare dei pezzi del Gongyo, i due capitoli del Sutra del Loto di Shakyamuni che recitiamo la mattina e la sera. Sono scritti in cinese antico e ormai li so a memoria. 

Le lezioni che seguo sono fisica (tenute dal professor Ugo Facchini, autore anche del libro di testo), analisi I, geometria e chimica. Qualche volta frequento qualche lezione di informatica, dove si studia il linguaggio Fortran, e una o due volte faccio capolino - se non ricordo male - a delle lezioni di russo. A causa delle lacune che mi erano rimaste in matematica dagli ultimi anni del liceo, a causa delle mie frequenti assenze per motivi prima politici e poi di vita ribelle, faccio molta fatica a seguire le lezioni di analisi e geometria. Inoltre il mio stato generale di salute non è dei migliori a causa delle intemperanze degli anni precedenti. Spesso mi accorgo di stare per addormentarmi a lezione o di essermi veramente assopito.

Per un certo periodo mi siedo sempre vicino a un ragazzo e una ragazza. Lei la trovo carina e ci faccio anche un pensiero. Ma durante la prima lezione dopo le vacanze natalizie, mentre siamo seduti tutti e tre vicini, con lei in mezzo, sento che loro si dicono di essersi pensati entrambi durante le ferie. Capisco che si stanno per mettere insieme e infatti così avviene. Per un po’ di tempo continuiamo lo stesso a seguire insieme le lezioni. Dopo un po’, invece, decido di smettere di fare quello che regge la candela. 

Qualche volta, il mio amico che avevo conosciuto nel 1978-1979 al biennio di recupero quarta e quinta liceo, e con cui ho vissuto molte delle vicende personali del 1979, viene a cercarmi in facoltà. Lui frequenta il vicinissimo Politecnico, corso di laurea in ingegneria elettronica. Anche il mio migliore amico da quando avevamo 7 anni frequenta lo stesso corso e una volta li faccio anche conoscere. Ma tutto finisce lì. Mentre il mio migliore amico continuo a frequentarlo come sempre (anche perché abitiamo nello stesso condominio), l’altro, man mano che passano i primi mesi del 1980, lo perdo sempre più di vista. L’ultima volta deve averlo incontrato una sera, con la sua nuova fidanzata. Andammo a fare un giro in macchina dopo cena. 

Domenica 3 febbraio, una bellissima giornata sole invernale, insieme a una ragazza e a una donna, ricevo il Gohonzon, un mandala iscritto da Nichiren Daishonin e l’oggetto di culto di noi praticanti il suo Buddhismo. Da qualche settimana avevo avvertito i miei genitori che avrei portato a casa questo Gohonzon. Nota divertente, all’inizio mio padre, o entrambi i genitori, avevano capito che si trattasse di una persona, forse per la lontana somiglianza della parola Gohonzon e bonzo. Ma subito avevamo chiarito. Quello che invece, il giorno dell’apertura dell’oggetto di culto in un altarino sistemato sopra il mio letto, non si erano aspettati, è che alla cerimonia avessi invitato molte persone. Dopo pranzo della domenica 3 febbraio, suonarono al citofono e iniziarono a salire - parte in ascensore e parte a piedi lungo le scale (abitavamo al quinto piano), una trentina di praticanti. C’erano anche dei membri americani che si trovavano di passaggio a Milano. Mentre stavano sistemandosi in ginocchio nella mia stanza, in corridoio mio padre mi disse: “Questa è un’invasione”. Ma era un rimbrotto non troppo severo. Finita la cerimonia, anzi, mio padre parlò serenamente qualche minuto con il signor Kanzaki, che mi aveva aperto il Gohonzon. E qualche giorno dopo mi disse: “Non so perché, ma comunque, da quando è arrivato in casa quell’oggetto, il clima in casa è più tranquillo”.  Ciò mi fece molto piacere. Comunque, dopo un po’ di tempo, tramite la persona che mi aveva introdotto alla pratica Buddhista, mi arrivò il consiglio del signor Kanzaki di non essere troppo insistente con il parlare del Buddhismo ai miei genitori. Aveva capito che avevo la tendenza ed essere un po’ fanatico e che potevo diventare troppo assillante e intollerante.

Per me l’affidamento del Gohonzon fu un momento chiave della mia vita. Ora, per praticare davanti all’oggetto di culto, non era più necessario andare a casa di altri: anzi, potevo invitare io delle persone a vederlo a casa mia e a recitare di fronte ad esso. Ad ogni modo, non smisi di sfruttare ogni occasione possibile per andare a recitare a casa di altre persone. Tutti i pomeriggi, prima di cena, noi praticanti del quartiere Vigentino ci trovavamo a celebrare la cerimonia di Gongyo sera a casa di un membro che abitava in via Ripamonti. Poi ognuno andava a cenare a casa sua. Verso le 21, chi voleva di noi, si ritrovava. L’appuntamento era al solito bar che frequentavamo tutti da diversi anni. Quel locale mi aveva visto passare momenti belli e momenti brutti ormai dal 1977 in avanti. Di solito ora andavamo in zona Maciachini a casa di un responsabile (la persona che aveva introdotto al Buddhismo chi poi lo aveva fatto a me). Lì recitavamo, guardavamo qualche filmato proveniente dal Giappone con un proiettore, passavamo qualche ora a parlare. Una volta invitai lì anche il mio amico del 1978-1979, che ebbe l’occasione di recitare e parlare con il signor Kanzaki. Ma poi non iniziò a praticare, pur rimanendo sempre molto rispettoso della pratica.

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