Autobiografia da adulto - Cap. 11 - Idoneo alle armi

 La vacanza a Vieste, purtroppo, si concluse con un fatto spiacevole. Una sera decidemmo di recarci in un luogo situato sulle pendici di una collina sopra il paese. Nell’ultimo tratto non c’era più la strada asfaltata e, mentre percorrevamo le ultime decine di metri sulla parte sterrata, un sasso ruppe il circuito dell’olio della mia auto. Quando ripartimmo, sentimmo un rumore di ferraglia provenire dal motore e vedemmo uscire del fumo dal cofano della macchina. In pratica, non essendo più rimasto abbastanza olio nel motore, quest’ultimo si grippò. Il giorno dopo mi recai presso un'officina e, con un meccanico, andammo a recuperare l’auto per farla riparare. Siccome però il danno era grave, io e i miei amici dovemmo rassegnarci a rientrare da Vieste con i mezzi pubblici.

Non ricordo se partimmo tutti lo stesso giorno. Io, infatti, nei giorni successivi avrei dovuto recarmi a Trevi, in provincia di Perugia, per partecipare a un corso estivo della Soka Gakkai italiana. Quasi tutti i membri iscritti al corso, compresi quelli di Milano, avevano raggiunto l’hotel che ospitava l’evento con vari pullman. Io, invece, vi arrivai dopo un lungo viaggio, prima con un autobus che attraversò tutto il Gargano, e poi in treno. Giunto a destinazione, venni rimproverato da un'amica e responsabile, perché, decidendo di rimanere fino all’ultimo momento in vacanza, non avevo partecipato agli ultimi giorni di preparazione prima del corso a Milano. Questa mia scelta, inoltre, non aveva certo giovato a cambiare in positivo il karma negativo che si era concretizzato con il guasto alla macchina. Inoltre, sentii una certa fatica a entrare nello spirito giusto del corso e, durante, questo, riflettei per l’ennesima volta su certi miei comportamenti non proprio saggi che si trascinavano ancora dalla seconda metà del decennio precedente. 

Rientrato a Milano, questa volta in pullman con gli altri membri dell’organizzazione buddista, determinai di nuovo di cambiare certe mie tendenze e dedicarmi all’attività buddista ancora più serio di quanto già non lo facessi, sempre come responsabile di un settore che comunque cresceva continuamente, con quattro gruppi ai quattro punti cardinali di Milano più uno a Trento. Verso la fine di settembre tornai a Vieste in treno per ritirare l’auto riparata. Mi accompagnò mio padre. Credo che quello fu l’unico viaggio lungo che feci da solo insieme a mio padre. Dall’autostrada, guidando piano (essendo stati rialesati i cilindri, in pratica era come se l’auto fosse di nuovo in rodaggio), mi colpii molto vedere le spiagge del mare adriatico senza più ombrelloni e turisti. Il tutto dava una sensazione di tristezza e di conclusione di qualcosa che sarebbe ricominciato un anno dopo.

Per quanto riguarda il servizio militare ancora da assolvere, alla fine di luglio erano terminati i 180 giorni per i quali, in gennaio (a seguito di accertamenti sanitari da me richiesti al Distretto Militare di di Milano), ero stato giudicato “T.N.I.” (temporaneamente non idoneo).  Alla nuova visita presso l’Ospedale Militare di Milano (chiamato anche Ospedale Militare di Baggio, dal nome della zona in cui ancora si trova) venni giudicato “idoneo”. Dall’inizio delle vacanze estive, quindi, inizia a sentire che ogni mese era buono per ricevere la cartolina di “chiamata alle armi”. Non è un’espressione eccessiva, in quanto è proprio quella riportata sul fascicolo matricolare. 

In quel periodo, erano già molti i miei amici - compresi molti membri della Soka Gakkai con cui facevo attività quotidianamente e anche mio fratello - che erano già stati alla “naja” e che mi raccontavano episodi e considerazioni su questo periodo. Uno, in particolare, che era anche il mio vice come responsabile di settore, mi aveva detto una frase che mi era rimasta impressa: “Quello del militare è l’anno che passa più velocemente”. Un’opinione che contrastava con la vulgata che i giorni della naja non passano mai. Questa frase mi mise senz’altro in una disposizione più positiva rispetto a quello che mi aspettava e che, comunque, sinceramente non mi preoccupava più di tanto: anzi provavo verso di esso una certa curiosità. Un ragazzo che era stato convinto a praticare da quel mio vice responsabile durante un periodo trascorso insieme nella stessa caserma, mi aveva raccontato di essere stato per diversi mesi nella missione italiana di pace in Libano, che si svolse dal 1982 al 1984. I soldati del contingente ricevevano un’indennità di molto superiore al mio stipendio di allora. Anche se non ero proprio convinto di voler, eventualmente, andare in Libano sotto le bombe, devo dire che la prospettiva di un guadagno del genere un po’ mi attraeva. 

Spinto più che altro da mio padre, che in quanto direttore di un’agenzia della Banca Commerciale Italiana, aveva ogni giorno a che fare con moltissime persone, fra i quali un ufficiale, andai a nome di quest’ultimo a parlare con un altro ufficiale in una caserma di Milano, dove si trovava un ufficio stampa dell’Esercito. Questi mi fece molte domande sul mio lavoro, ma soprattutto su quante conoscenze avessi fra i giornalisti di molte testate importanti del Paese. Io, sinceramente, sapevo fare bene il mio lavoro di redattore, ma lo svolgevo in una casa editrice di riviste rivolte agli operatori della pubblicità (dirigenti e creativi di agenzie, oppure titolari di case di produzione audiovisiva) e degli uffici comunicazione e marketing di medie e grandi aziende. Infatti, quando finì quell’incontro, non ebbi una sensazione molto positiva, in quanto mi sembrava che più che capacità di scrittura, fossero richiesti contatti da utilizzare per far pubblicare notizie. Probabilmente quel posto era più adatto, forse, per qualche figlio di un giornalista con una certa posizione.

Dopo qualche settimana, lo stesso ufficiale cliente della banca dove lavorava mio padre, disse a quest’ultimo di aver saputo che io ero stato selezionato per un’importante entità dell’Esercito, i cui predestinati non potevano essere dirottati altrove. Non gli disse però di quale corpo si trattava. Quando raccontai questa cosa al titolare di una delle ditte di cui si serviva la mia casa editrice, invece, questi mi sgridò dicendogli che avrei potuto dire a lui che dovevo partire per il servizio militare in quanto conosceva un ufficiale del Distretto Militare (che effettivamente avevo conosciuto anch’io durante i famosi “tre giorni” di visite sanitarie e colloqui nel 1978), che avrebbe potuto aiutarmi a rimanere a Milano. Lo ringraziai, ma comunque per me non era poi tanto importante dove avrei svolto il servizio militare, quanto togliermi questo impegno e poi iniziare una nuova fase della mia vita personale e professionale.  

A metà febbraio 1984, infine, arrivò la cartolina. Nei giorni successivi, organizzai una cena con tanti amici buddisti presso un ristorante alla buona, e iniziai i preparativi per la partenza verso Foligno (Perugia) per essere “incorporato” presso il 92° Battaglione di Fanteria “Basilicata”, un C.A.R., ossia Centro Addestramento Reclute. Nel frattempo, avevo convinto l’amministratore delegato e il direttore editoriale della casa editrice, di darmi la liquidazione per i tre anni in cui avevo lavorato (anche se non ero un lavoratore assunto, ma un collaboratore interno a ritenuta d’acconto), in modo da avere una riserva economica per le mie spese personali durante il periodo della naja. Oltre a soddisfare la mia richiesta, mi fu detto che avrei ritrovato il mio posto al termine del servizio militare. Oltre all’esperienza e alla liquidazione, quei primi tre anni di lavoro mi permisero di partire per la naja con in tasca anche la tessera da giornalista pubblicista, che avevo ottenuto nei primi mesi del 1983.

Uno scorcio del mio quartiere nel 1983. Foto scattata da me soprattutto, credo, per il circo a fianco della chiesa Madonna di Fatima


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