Autobiografia da adulto - Cap. 9 - Responsabilità

 Come forse ho già scritto, molti fatti avvenuti nella mia vita fra il 1981 e il 1983 ( e inizi 1984), non sono più facilmente databili, nella mia memoria, a un anno preciso di questo triennio. Continuerò, quindi, a raccontarli senza pretendere esattezza cronologica. Già ho parlato della visita in Italia del presidente della Soka Gakkai Internazionale, Daisaku Ikeda, che mi ha visto coinvolto h24 per qualche giorno (ed è stata una bella, profonda, indimenticabile esperienza), del secondo rapporto sessuale della mia vita e di altre prime esperienze erotiche con l’altro sesso, del viaggio in Scozia, e del processo che ho subito (per fatti del 1978) e dal quale sono uscito assolto “con formula piena” per non aver commesso il fatto (o almeno non ricordarlo con esattezza).

Dal punto di vista della pratica buddhista, in questo periodo di tempo che precede la partenza, nel febbraio 1984, per il servizio militare, oltre alla già citata visita del presidente Ikeda, ricordo come fatti più rilevanti il successo nella conversione - almeno per un certo periodo di tempo - di alcuni giovani e l’assunzione prima della responsabilità di un gruppo e, quindi, di quella di settore. 

La seconda, seguita a circa poco più di un anno dalla prima (tra il 1982 e il 1983), mi portò, dopo pochi mesi, a prendere drastiche decisioni circa il mio modo di trascorrere il tempo libero, di sera e nei fine settimana, abbandonando alcuni passatempi derivati dal passato e la frequenza di alcuni amici del quartiere - per la correttezza molto “in gamba” - con cui avevo ripreso ad uscire dopo qualche anno (erano quelli con cui avevo stretto rapporti per un certo periodo nel 1978). Questa mia decisione improvvisa e perentoria, durò in realtà per alcuni mesi: un giorno rividi uno di questi amici, che mi chiese il motivo per cui avevo da un giorno all’altro rotto i rapporti, e dopo che glielo spiegai, mi rimproverò dicendo che avrei potuto risolvere i problemi anche continuando a vederci e che mi ero comportato male. Dovetti ammetterlo e credo che mi scusai. 

Da allora ripresi a frequentarli pur continuando a impegnarmi il più possibile nella mia responsabilità all’interno dell’organizzazione buddhista. Che condividevo con un viceresponsabile - che però non era sempre disponibile come me - e una responsabile giovane donna, con la quale mi sentivo tutti i giorni e con la quale riuscimmo a creare un settore molto grande, con gruppi sparsi su Milano (e uno a Bolzano), e che totalizzava oltre il centinaio di presenze alle riunioni di discussione, le quali allora si tenevano a cadenza quindicinale.

Nel frattempo, anche a livello lavorativo, mi ritrovai a dover raddoppiare la mia responsabilità e il mio impegno. Come ho già scritto, quando iniziai a lavorare nella redazione del mensile Pubblicità Domani (edito da New International Media) nel settembre 1980, mi trasferii dal corso di laurea in fisica (dove non avevo ancora sostenuto alcuno degli esami del primo anno) a quello di lettere moderne, sempre all’Università degli Studi di Milano. Il primo anno riuscii a frequentare tutte le mattine, poiché il mio accordo con l’editore (che come forse ho già detto, apparteneva - come la sua compagna - alla cerchia degli amici e conoscenti di mio zio Miro Cusumano, fratello di mia madre e pittore astratto), prevedeva che io lavorassi tutti i giorni dalle 14.30 alle 18.30. Ciononostante, però, sia perché il lavoro mi assorbiva molto mentalmente sia perché l’attività buddhista era molto intensa (e su base pressoché  giornaliera), in quel primo anno non riuscii a dare che un solo esame, peraltro con un voto basso (20 in geografia umana). 

Un pomeriggio, appena arrivai in redazione (in via Revere 16), mi dissero che durante la mattinata era arrivata la polizia, che aveva perquisito tutti i locali. La ragione era che la persona che era stata incaricato a tempo pieno per coordinare l’attività redazione (e di cui io ero il subordinato diretto nel pomeriggio) si era trovata coinvolta in un’indagine legata al mondo delle Brigate Rosse, anche se lui non era un terrorista, ma probabilmente conosceva da anni qualcuno che apparteneva nelle BR per averlo frequentato in anni ancora più lontani come semplice militante di sinistra. L’editore, per evitare problemi futuri, aveva ritenuto di dire al collega di non venire più. Nel frattempo aveva deciso di chiedere a me se me la sentivo, dal giorno dopo, di svolgere io anche i compiti di quella persona. Io accettai. Questo, però, segnò la fine della frequenza alle lezioni in università e l’inizio della mia attività lavorativa a tempo pieno anche negli anni a venire.

Un altro evento importante di quel periodo è stata una malattia di mia madre. Da qualche tempo aveva iniziato ad avere frequenti episodi di diarrea. Giorno dopo giorno avevo notato che il suo volto diventava più emaciato e che perdeva forze. A un certo punto presi la decisione di costringerla a farsi visitare da un buon medico gastroenterologo, che individuai io stesso. Quindi la portai da lui nel suo studio, in zona Porta Vigentina, e questi le consigliò di farsi ricoverare al più presto. Il ricovero avvenne, forse, il giorno dopo stesso. 

All’ospedale San Paolo, i medici si diedero molto da fare per cercare di dare un nome alla patologia. Nei primi giorni si parlò di sprue, ma poi questa diagnosi venne esclusa. Invece di qualche giorno, il ricoverò si prolungò per settimane. Io andavo a trovarla tutti i giorni. La vita in famiglia era cambiata. La maggiore delle mie sorelle si era presa in carico dei compiti di nostra madre, e notai che mi stirava i vestiti. Nostro padre non riusciva a capacitarsi di quanto stava avvenendo. Per fortuna eravamo una famiglia numerosa. Un giorno, la mamma entrò in una specie di stato comatoso e non fu esclusa la possibilità di morte. Io avvisai i miei amici buddisti. Rimasi, con altri parenti al capezzale di mia madre, che dopo qualche ora, si risvegliò. Il volto mi appariva più disteso di prima. Disse che aveva sognato che stava cacciando via qualcosa. Allora richiamai una mia amica e responsabile buddista e le raccontai l’avvenuto. Lei mi disse che, nelle ore più critiche e prima che mia madre si risvegliasse, molti praticanti avevano pregato per me e mia mamma. Il ricovero proseguì poi per ancora qualche tempo. Quando la ripresa fu più consolidata, mia madre venne dimessa con una probabile diagnosi di morbo celiaco. Da allora cominciò a seguire la dieta per celiachia, facendosi procurare gli alimenti a base di farina in farmacia.

Nessun commento:

Posta un commento

Autobiografia da adulto - Cap. 11 - Idoneo alle armi

 La vacanza a Vieste, purtroppo, si concluse con un fatto spiacevole. Una sera decidemmo di recarci in un luogo situato sulle pendici di una...