Autobiografia giovanile - Cap. 26 - Gli inizi del liceo

 Archiviate le movimentate vacanze estive del 1974, con il viaggio in Austria e in Cecoslovacchia, la distruzione della tenda a Praga per un nubifragio, e il guasto alla macchina in autostrada poco prima di arrivare a Milano, trascorsi qualche settimana libero di uscire con i miei amici e andare all’oratorio e poi iniziò il primo anno di liceo scientifico all’Einstein di Milano.

Il viaggio per arrivare a scuola prevedeva salire sul tram 24 in via Ripamonti all’altezza di via dell’Assunta (o alla fermata prima, il capolinea di via Noto), scendere in via Ripamonti all’altezza di viale Isonzo, e qui prendere il filobus 91 fino a via Tertulliano, dove di scendeva per camminare poche decine di metri e arrivare in via Einstein. Il tragitto da casa durava circa tre quarti d’ora, più o meno come quello fra la nostra abitazione e la scuola media Majno in via Commenda. Per tornare si faceva il percorso inverso: l’unica differenza è che il filobus, pur compiendo lo stesso tragitto dalla linea 91, nel percorso di ritorno si chiamava (e si chiama ancora 90). Il motivo è che la 90 e 91 sono due linee circolari. La prima va in senso orario e la seconda antiorario. I filobus erano sempre pieni. All’andata di lavoratori e studenti, al ritorno solo di studenti. Ovviamente non erano tutti studenti dell’Einstein. Nello stesso isolato del nostro liceo scientifico, costruito in modo identico ma speculare, c’era (e c’è ancora), l’istituto tecnico commerciale Verri. 

Il primo giorno di scuola scoprii che anche quell’anno, e forse ancora per chissà quanti altri ancora, ero stato messo in una classe maschile. In classe con me, con mio sollievo, era stato inserito anche il mio amico d’infanzia, di condominio e compagno di scuola dalla quinta elementare in poi. Per la verità, non so se subito dal primo anno, o forse più probabilmente dal secondo, ho avuto in classe anche un altro ragazzo del nostro quartiere che però non avevo mai frequentato e forse nemmeno conosciuto. Il mio migliore amico in assoluto, invece, come ho già scritto, iniziava negli stessi giorni la prima all’istituto tecnico per periti elettrotecnici ed elettronici Feltrinelli, in zona Navigli. Mi trovai subito bene con tutti i nuovi compagni di classe. C’era qualche compagno che stava un po’ sulle sue e si comportava in modo molto disciplinato, ma il resto del gruppo classe era molto vivace e scherzoso. Subito decidemmo di darci dei soprannomi. Per me, per contrasto con il mio cognome, fu inizialmente scelto Segatura. Ma qualche giorno più tardi, durante una delle prime lezioni di storia, si parlò degli Etruschi e delle vestigia di quella civiltà che si trovano ancora nascoste e che spesso vengono trovate e rivendute clandestinamente dai cosiddetti “tombaroli”. Io dissi alla professoressa che mi piaceva l’archeologia e che, se venivo a sapere che da qualche parte c’era qualcosa da trovare, mi piaceva fare delle ricerche. Quindi il mio soprannome cambiò in Tombarolo. Però quella dei soprannomi fu una moda che durò pochi giorni, poi continuammo a chiamarci solo con i nostri nomi.

Il mio rapporto con gli insegnanti e le materie era molto ondivago. Tendevo a rendere bene nelle materie in cui mi ero distinto - anche perché mi piacevano - anche alle medie, come italiano, latino, disegno e scienze, mentre altre le presi sottogamba. Fra queste, solo all’inizio della scuola, ci fu geografia. La prima volta che il professore mi interrogò dal banco, non mi ero preparato sull’argomento che c’era da studiare e quindi mi presi tre. Restai un po’ allibito perché non avevo mai preso un voto così basso e, inoltre, credevo che quello più basso poteva essere solo quattro. Poi, non ricordo se perché chiesi di poter provare ad alzare la media, o semplicemente aspettai un’altra occasione, il secondo voto mi permise di arrivare alla sufficienza. Forse stavamo studiando l’America Latina e allora realizzai una ricerca sul Cile, in cui parlai molto del colpo di stato fascista di Pinochet del 1973. Il professore mi diede otto e mi sembrò anche compiaciuto. Due materie che proprio non riuscivo a mandare giù, invece, erano storia, che trovavo molto noiosa, ed educazione fisica. Il professore di quest’ultima era molto severo ed esigente. Ci faceva compiere diversi giri dell’isolato (liceo Einstein e istituto Verri) di corsa. Alla fine ero sempre stremato. Così, diverse volte, mi presentai senza scarpe da ginnastica e tuta oppure dissi che non stavo bene. Invece, una volta che partecipai alla lezione in palestra, feci dei versi per far ridere la classe e mi guadagnai una nota in cui era scritto: “Durante la lezione vostro figlio faceva il verso del cane, del gatto…” non ricordo quale altro animale.

Dopo qualche settimana di scuola ci fu uno sciopero generale indetto dai sindacati confederali. Fuori dalla scuola ci fu un picchetto e io decisi di rimanere fuori e andare in manifestazione. Proprio in quel momento stavano passando in via Tertulliano dei lavoratori dell’Ortomercato, che si trovava lì vicino, con dei trattori e dei carri legati dietro. Con pochi altri compagni dell’Einstein salii, con il loro consenso, su uno dei carri e seduto lì raggiunsi la meta finale della manifestazione in centro. Imparai un po’ di slogan e lessi diversi volantini. Alla fine della mattinata tornai a casa chiedendo ai miei di firmarmi una giustificazione per il giorno dopo con motivazione “sciopero”. I miei mi fecero la giustificazione ma scrissero qualcos’altro, forse perché non si poteva, o era meglio di no, scrivere “sciopero”. 


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