Autobiografia giovanile - Cap. 23 - Austerity, radio e chitarra

 Della prima parte del 1973 non ricordo molte novità al di là di quanto avveniva sempre a scuola o in quartiere. A scuola, all’inizio di una lezione di educazione fisica, dissi al professore che non potevo farla (forse perché mi ero dimenticato di portare le scarpe da ginnastica) e lui mi disse che, se volevo, potevo attraversare il cortile in comune con il liceo classico Berchet ed entrare nella palestra di questa scuola, dov’era in corso un’assemblea studentesca. Entra in quella palestra da una porta finestra aperta e mi sedetti in mezzo agli studenti più grandi di me. Ascoltai qualche intervento e credo che condivisi quasi tutto quello che ascoltavo. Mi sono sempre chieste che cosa aveva in mente il mio prof di ginnastica quando mi offrì questa possibilità. Era un professore di età matura ma un po’ eccentrico e simpatico. Veniva a scuola con una Bianchina decappottabile (anche se l’ho sempre vista parcheggiata e chiusa). Forse voleva darmi la possibilità di fare un’esperienza nuova, utile a capire di più quali erano le mie opinioni su quello che avveniva nella società. A proposito di politica, un mezzogiorno, usciti da scuola, arrivammo alla Crocetta proprio mentre era in corso una carica della polizia contro dei manifestanti. Quella fu la prima volta che vidi e sentii l’effetto dei gas lacrimogeni. La vista della carica non ci spaventò. Rimasi piuttosto incuriosito su quello che c’era intorno a quanto stava avvenendo. Fino a quel momento avevo solo visto dei comizi in Duomo con la polizia schierata, sentito i miei zii parlare di lotte politiche, ma non avevo mai visto uno scontro di piazza.

Riccardo Cervelli 13 anni
Io a 13 anni in una foto scattata da un fotografo profesionista

Dal punto di vista sentimentale, si era formata questa specie di relazione con la bambina conosciuta in occasione della rappresentazione natalizia. Lei sembrava più grande della sua età, ma in realtà aveva quattro anni meno di me. Questa differenza non si sentiva molto perché, oltre al fatto che dimostrava più anni per via dell’altezza, in quei pochi discorsi che facevamo quando ci vedevamo all’oratorio dimostrava anche di essere matura. Inoltre, non c’era il rischio che avvenisse qualcosa di spinto perché, anche da parte mia, c’era solo un’attrazione che si fermava al livello sentimentale e di apprezzamento estetico, limitatamente al viso, al suo sorriso, ai suoi occhi e alla corpo vestito. I massimi contatti fisici avvenivano quando stavamo seduti vicino a guardare i film e ci tenevamo per mano. Però, quando mia madre venne a sapere di questa storia, mi dissi che dovevo chiuderla subito perché lei era troppo piccola. Io provai a spiegare che non c’erano rischi di nessun tipo. Forse mia madre temeva anche di quello che potevano dire le altre persone, ma non ne sono sicuro. Continuai comunque ad aspettare i fine settimana in cui io e la ragazzina ci saremmo visti all’oratorio e qualche volta, in cui ero uscito prima dalla mia scuola, andai ad aspettarla fuori dalla sua, solo per fare qualche decina di metri vicino a lei. In quelle occasioni, però, c’erano anche le sue compagne e quindi non ci parlavamo.

Forse già in quel periodo, mio padre era diventato direttore dell’agenzia 28 della Banca Commerciale Italiana, che si trovava in via Montenero, a poche centinaia di metri dalla mia scuola. In quell’anno scolastico dovevano essere iniziati dei rientri pomeridiani per seguire delle materie divenute facoltative. Non so se tutte e due quell’anno, ma alcuni rientri pomeridiani, a un certo punto, iniziai ad averli per continuare a seguire le lezioni di applicazioni tecniche e musica. Quando avevo dei rientri, non tornavo mai a casa per pranzo. Alcune volte, raggiungevo mio padre in banca. Dato che ormai la banca era chiusa, entravo dalla porta dei dipendenti dipendenti, stavo qualche minuto con gli impiegati dietro gli sportelli, e poi uscivo con mio padre per andare a mangiare una pizza in via Bergamo. Qui mi ero abituato a farmi portare una Coca Cola dentro un boccale di vetro trasparente a forma di scarpone. Più avanti, iniziai ad essere invitato a pranzo a casa del mio amico che abitava vicino alla scuola. 

I miei riferimenti più assidui in classe erano il compagno che abitava in cascina a Locate Triulzi e questo che abita vicino. A loro parlavo spesso della mia cotta per la bambina dell’oratorio e dopo un po’ si stancarono e non ne vollero più sentire. Qualche volta andavo ancora a trovare il compagno che abitava fuori Milano. Con quello che abitava vicino alla scuola continuavamo sempre ad andare insieme ai concerti della Gioventù Musicale al Conservatorio e, dopo la fine, a fare una passeggiata a Ricordi e alla Messaggerie Musicali in corso Vittorio Emanuele. Non sono sicuro che fu quell’anno, ma il padre del nostro compagno che veniva bullizzato organizzò una visita serale della classe, con alcuni insegnanti, alla redazione e alla tipografia del Giorno. Sono sicuro che quell’iniziativa mi piacque. Peraltro, mio nonno paterno, che aveva lavorato come linotipista al Giorno (oltre che all’Unità) mi disse di portare i suoi saluti a un suo ex collega, cosa che feci. Da quella visita mi portai a casa il cliché di metallo di una fotografia di un astronauta, che ancora conservo tra i miei ricordi. 

Forse lo stesso anno scolastico fui invitato a casa sua da uno dei compagni che mi stuzzicavano. Aveva parentele molto importanti e viveva in un appartamento così grande che non sono nemmeno riuscito a vedere tutto. Quando andai, però, mi sembra che in casa non ci fosse nessuno, o almeno nessun suo parente ma forse solo una persona di servizio. A un certo punto, mentre eravamo in camera sua, mi ingaggiò in una breve lotta corpo a corpo sul pavimento. Quindi non penso che gli facessi poi così schifo. In quel periodo, forse per via che avevamo gli ormoni a mille, mi capitò anche un'altra volta, di scherzare con fugaci contatti fisici un po’ più spinti con un altro compagno durante una lezione pomeridiana di applicazione tecniche. Cominciavano pian piano a girare anche racconti di piccole avventure a sfondo sessuale anche con delle ragazze. Io mi accontentavo del mio amore platonico.

Amore che non sempre riuscivo a vedere ogni fine settimana (se fosse stata più grande, magari potevamo incontrarci per il quartiere) perché, arrivata la primavera, i miei decisero di portarci spesso la domenica a visitare qualche località raggiungibile con la macchina. Ricordo, per esempio, che andammo a vedere Roncole di Busseto, dove c’è la casa natale di Giuseppe Verdi, e altri paesi soprattutto della Bassa. Sulla strada del ritorno, io speravo che ci mettessimo poco e che potessi fare un salto all’oratorio. Ma siccome diventata evidente che non ci sarei riuscito prima della chiusura, mi arrabbiavo e poi restavo incupito.

Riccardo Cervelli 13y.o.
Io durante le vacanze estive 1973

Poi arrivò l’estate e con la famiglia andammo in direzione della Germania. Dopo non ricordo quali tappe, arrivammo a Monaco di Baviera, dove montammo la tenda in un bellissimo campeggio in un parco vicino allo zoo. La cosa che ricordo con più piacere di quella permanenza fu l’amicizia che strinsi con un ragazzino della mia età indonesiano. Di Giacarta, per la precisione. Credo che sia stato in assoluto il primo amico che ho avuto il quale avesse un colore della pelle e altre caratteristiche somatiche - soprattutto i capelli e gli occhi - diverse da quelle italiane o europee. Era magrolino. Ci parlavamo in uno stentato inglese scolastico (almeno da parte mia). Ma ci capivamo molto anche con un linguaggio non verbale. In mezzo, a fianco, del campeggio scorreva un fiumicello. Ricordo che un pomeriggio ci andammo ed entrammo dentro fino alle ginocchia. A un certo punto lui si chinò e poi si raddrizzò guardandomi sorridendo. In mano teneva un pesce. Per anni ho attribuito la sua capacità di prendere i pesci con le mani alle sue origini etniche. Invece, forse più semplicemente, era stato abile o aveva avuto fortuna. Negli anni successivi mi spiacque di non essere riuscito a scambiarmi l’indirizzo con quel ragazzino e restare in contatto. Di quella permanenza a Monaco mi piacque molto anche la visita al museo della scienza e della tecnica. In particolare apprezzai molto gli esperimenti con l’elettricità che ci fecero vedere. Si trattava soprattutto di archi voltaici.

Proseguimmo poi per altre città tedesche e poi virammo verso la via del ritorno a casa passando per il Belgio. Dalle foto scattate in quella parte del viaggio si nota anche una certa stanchezza e noia. Forse volevo tornare. Ma le vacanze non erano destinate a finire oltre le Alpi. Una certa parte fu ancora trascorsa ad Assisi, in Umbria. Di quella parte dell’estate mi rimangono delle foto in cui sono ritratto con i capelli decisamente lunghi; o per meglio dire gonfi, dato che io sono nato con i riccioli e poi la capigliatura è diventata mossa, ma mai dritta.

Riccardo Cervelli 13yo
Io a Spagnolia, un parco divertimenti vicino a Perugia, nell'estate 1973

Al rientro a Milano iniziò la crisi petrolifera del 1973 provocata da una guerra fra arabi e israeliani. Il governò varò delle misure di austerity, fra le quale le famose “targhe alterne”. In pratica, fra la fine del 1973 e i primi mesi del 1974, una domenica potevano girare solo le auto con la targa il cui numero finiva con una cifra pari e la domenica dopo solo quelle con la targa dispari. La nostra auto aveva la targa pari, quella della famiglia della mia amata la targa dispari. Divenne così praticamente impossibile vederci all'oratorio la domenica pomeriggio.

Nel frattempo era ricominciata la scuola, che per me voleva dire il terzo e ultimo anno delle medie. Il mio migliore amico, compagno di classe dalla seconda elementare e vicino di casa, aveva cambiato scuola: la famiglia aveva deciso di iscriverlo nella nuovissima scuola media costruita nel nostro quartiere in via Dei Guarnieri. I miei, invece, decisero di far finire per tutto il ciclo le scuole medie alla media Majno, in via Commenda, dove avevamo iniziato. In altre parole la famiglia mia e quella del mio amico avevano fatto questa volte una scelta opposta rispetto a quella fatta in occasione del passaggio in quinta elementari, quando io venni iscritto alla scuola elementare di via Wolf Ferrari, praticamente davanti casa, mentre il mio amico rimase nella nostra vecchia classe, con la stessa maestra, nelle elementari di via Noto. 

Anche se non mi riusciva più di vedere la ragazzina con cui stavo insieme dallo spettacolo natalizio, ormai ero diventato un frequentatore assiduo dell'oratorio. Se non addirittura compulsivo. Presi ad andarci anche il sabato pomeriggio. Sempre più spesso lasciai il mio compagno di classe musicofilo andare da solo ai concerti del sabato pomeriggio al Conservatorio; altre volte ci andavo anch'io, a metà del programma salutavo il mio compagno di classe e tornavo a Vigentino. All'oratorio avevo cominciato a imparare a suonare, anche se in modo non scolastico, ma più ad orecchio e solo con accordi, la chitarra. E il mio obiettivo era quello di diventare bravo da accompagnare io un coro, come avevo visto fare a quel ragazzo sul palco della recita natalizia. 

Un altro fatto importante accadde, molto probabilmente, uno di quei mesi (comunque quell’anno). Mi trovavo sul balcone con un walkie talkie giocattolo. Non ricordo se parlavo con mio fratello o con un altro ragazzino, di un anno più giovane, che abitava nel mio palazzo. A un certo punto, dall’altoparlante della radio uscì la voce forte di un ragazzo più grande. Iniziammo a parlare e lui mi disse che era un CB, che la mia radio utilizzava la frequenza dei CB (Citizen Band, Banda Cittadina) e che, girando fra i vari canali, mi aveva sentito. Mi disse anche che, per parlare con me, cambiava canale, perché il mio walkie talkie trasmetteva sul canale 14, che i CB non utilizzavano perché riservato alle ambulanze, ma in ricezione la mia radio non utilizzava un quarzo e quindi poteva sentire gli altri canali. In pratica, lui mi ascoltava sul canale 14 e, quando toccava a lui parlare, andava su un altro canale. La sua radio, molto più potente della mia, poteva effettivamente interferire con comunicazioni di emergenza, la mia - giocattolo - no. Poi mi fece capire che abitava proprio di fronte a me, nella fila di case davanti e anche lui al mio stesso piano. Mi fece anche individuare l’antenna che aveva montato sotto il lucernario del tetto e che aveva un filo che scendeva nel suo balcone e entrava in casa sua. Un giorno mi invitò a casa sua, dove conobbi anche sua madre, che era anche lei diventata CB. Da quel giorno, ogni tanto, il pomeriggio andavo a casa loro anche quando il mio nuovo amico, che aveva qualche anno più di me, non c’era, e mi intrattenevo con la madre, che mi lasciava trasmettere dal loro “baracchino”.

Riccardo Cervelli 13-year-old CB
Io con il walkie talkie che, nel 1973, mi ha fatto scoprire il mondo CB

Una domenica pomeriggio d’autunno ormai inoltrato, mi trovavo all’oratorio, dove nel frattempo avevo iniziato a suonare la chitarra, grazie anche all’aiuto di un ragazzo di circa otto anni più grande di me, che era molto bravo e mi insegnava con pazienza i primi rudimenti dello strumento. Dopo la fine di un film, come al solito noi ragazzi abbiamo ricominciato a giocare. Con alcuni abbiamo iniziato a rincorrerci per le stanze. A un certo punto mi ero nascosto in un ripostiglio dietro il palco del teatrino. Era buio. Non sapevo che anche un’altra persona fosse entrata lì prima di me. Restai fermo qualche secondo guardando verso l’uscita del ripostiglio. Dopo qualche secondo abbassai un broccio, spostai indietro una mano e sentii che colpito qualcuno sui suoi jeans. Dissi: “Scusa”. Risposta: “Di niente”. Quindi scoprii che era una ragazzina che già conoscevo di vista, che abitava in una via vicino alla nostra, e che aveva due anni meno di me. La ricordavo perché faceva parte di una famiglia molto numerosa che era amica della famiglia molto numerosa della mia via, di cui il figlio era uno dei miei migliori amici, e che facevano tutti parte di una comunità cattolica laica. Con i membri di questo movimento, qualche anno prima eravamo andati al Pime a vedere uno spettacolo organizzato dalla comunità e poi avevamo partecipato ad alcune riunioni. Non so se c’era anche lei quella volta, ma sapevo della sua famiglia. Invece, mi ricordavo che, quella volta che la mia maestra di via Noto mi aveva mandato nella classe della “capogruppo”, maestra Montegani, per portare un messaggio. avevo notato, fra le alunne sedute con il grembiulino bianco e la piantina di cactus sul banco, anche questa bambini, che ora aveva iniziato la prima media nella scuola femminile accanto alla mia.

Le volte successive che ci vedemmo all’oratorio, strinsi una forte amicizia sia con lei sia con un gruppetto di sue amiche. Non ci mettemmo insieme subito. Loro pensavano ancora che io stessi con la ragazzina della recita natalizia dell’anno prima. Inventarono pure una parodia di una canzone famosissima, A mezza notte va la ronda del piacere, in cui i protagonisti eravamo io e la ragazzina. Mi chiesi se quella canzone significasse che pensavano che la storia fosse ancora in corso o se fosse una sorta di messa alla prova per capire se invece ero disponibile. Non ricordo se dissi che la storia era finita o che non era finita ma si era esaurita da sola senza bisogno di parlarne. Fatto sta che un giorno dopo l’altro mi misi con la nuova amica. Nel frattempo, avevo iniziato a conoscere il sacerdote che guidava le attività dell’oratorio, Don Gianni, il quale un pomeriggio mi invitò nella sua casa accanto alla chiesa dell’Assunto e mi disse che era meglio se non iniziavo quella relazione perché potevo distrarre la ragazza in un momento in cui stava entrando nella comunità. L’oratorio era in quegli ultimi anni diventato una comunità legata al movimento di Comunione e Liberazione, allora ancora ai suoi albori. Io ascoltai Don Gianni e gli dissi che non doveva preoccuparsi, perché io ci tenevo molto alla comunità e non avrei affatto voluto che alla mia amica succedesse quello che lui temeva. Ci lasciammo così senza che io gli promettessi di non continuare nella mia relazione ma con lui che, almeno per bonarietà, non insistesse più nella sua richiesta.


Riccardo Cervelli 13 anni CB
Sempre io in posa nella cabina per le fototessere mentro fingo di studiare il circuito della radio

Del resto, in realtà, io e questa ragazza non facevamo molto di più che passare del tempo a parlarci, stare insieme ad altri amici nell’oratorio, restare vicini mentre io muovevo i primi passi con la chitarra. A volte, con noi, c’era una delle sue amiche che frequentava un corso di chitarra alla Scuola Civica di Musica in corso di Porta Vigentina, e che mi insegnò alcuno cose, oltre che a suonare Giochi proibiti, un pezzo classico abbastanza facile basato soprattutto su arpeggi. Poi, un quarto d’ora prima delle sei, io, lei e sua sorella più piccola, uscivamo dall’oratorio dell’Assunta ed andavamo alla chiesa di Fatima a seguire una breve messa. Quindi le accompagnavo fino al cancello d'ingresso del loro condominio. In quegli anni, a Milano, e nei quartieri periferici come il nostro, in inverno c’era una nebbia fittissima. Ricordo ancora le camminate immersi nella nebbia che facevamo per arrivare dall’oratorio alla chiesa di Fatima e poi da questa ai due condomini dove vivevano tutte queste mie amiche. Al di là di due metri o tre metri non si vedeva più niente.

Per dimostrare come fosse vero quello che avevo detto a Don Gianni circa la serietà con cui stavo prendendo l’esperienza della comunità - benché fossi solo un tredicenne - basti pensare che in quel periodo, qualche mattina, prima dell’inizio delle lezioni, andai a recitare le Lodi insieme ai ragazzi di CL (ma allora mi avevano detto che il gruppo si chiamava Undicesima Ora) del liceo Berchet, accanto alla mia scuola media. Una volta, o due al massimo, devo essere andato anche alcuni loro “Raggi”, che erano delle riunioni. Stava iniziando per me un’esperienza spirituale e comunitaria che sarebbe durata circa due, tre anni.

(capitolo aggiornato il 06/05/2022)

(riproduzione riservata - Riccardo Cervelli 2022)


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