Al ritorno dall’Umbria, riprese la solita vita di quartiere in attesa dell'inizio della seconda media. Nell’anno scolastico 1972-1973 mio fratello iniziò a frequentare la prima media nella mia stessa scuola. Come lingua straniera fu scelto il tedesco. Nella scuola c’era una sola classe con quella materia ed era anche con un numero di alunni inferiore a tutte le altre classi.
Uno dei miei compagni di classe che era anche mio amico della via in cui abitavamo era stato respinto. Non ricordo quali difficoltà avesse avuto a livello scolastico, dato che era un ragazzo sveglio e intelligente. Del condominio rimaneva nella mia classe un altro mio amico, quello che alle elementari non era in classe con me. Il mio migliore amico invece era stato inserito fin dall’inizio delle medie in un’altra sezione della scuola. In classe ripresi comunque a frequentare soprattutto due compagni. Uno era quello che viveva non lontano dalla scuola, che prendeva sempre ottimi voti e con cui condividevamo la passione per la musica e l’andare insieme, i sabati pomeriggio, ad ascoltare i concerti organizzati dalla Gioventù Musicale al Conservatorio. L’altro era quello che abitava in una cascina a Locate Triulzi.
Da qualche mese io avevo in testa sempre una bambina più giovane di me e che avevo visto dal vivo solo una volta. Ne discutevo così spesso con il mio compagno di Locate Triulzi che un giorno, mentre camminavamo sotto i portici di una via del mio quartiere, mi disse che non ne voleva più sentire parlare. La mia cotta era puramente platonica. Sono stato, anche negli anni successivi, poco intraprendente sul piano fisico con le altre tre ragazzine con cui ho avuto delle relazioni, ma in questo caso il mio pensiero per questa andava quasi esclusivamente al suo viso e al suo carattere, per quel poco che ricordavo.
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| Io in versione quasi hippie alla fine dell'estate 1972 |
Una bambina con cui invece ho iniziato a vedermi, anche se una sola volta la settimana all’oratorio domenicale, piombò nella mia vita sotto Natale. In quel periodo, andati via i frati, l’oratorio aveva ripreso vita in un altro modo. Per la verità non mi sembra che nell’ultimo anno c’ero andato spesso. Comunque mi ritrovai, pochi giorni prima di Natale, a partecipare alla preparazione di un’animazione sul tema della Natività con altri bambini e bambine delle medie e delle elementari. Le prove le facemmo non all’oratorio della chiesa dell’Assunta, ma in una sala dietro l’altare della chiesa di Fatima: proprio la sala dove, qualche anno prima, avevo fatto arrabbiare un responsabile dei chierichetti ad una “adunanza” e questo aveva battuto il manico dell’ombrello su un tavolino di vetro, provocando su di esso una crepa.
Ricordo che alla prima prova dell’animazione io dovevo fare parte del “coro”, non inteso in senso musicale ma teatrale. Durante la prova notai questa bambina alta, con i capelli scuri e mossi (forse addirittura un po’ riccioluti) con due occhi vispi che mi fissavano. Guardandola mi vennero un po’ di quelle famose “farfalle nello stomaco”. Ogni tanto ci fissavamo negli occhi per un po’ di secondi, ma non ci presentammo né parlammo, se non ricordo male. Nella seconda prova ci rivedemmo, ma a me fu chiesto di non fare parte del coro, bensì di interpretare il ruolo di San Giuseppe. A una bambina del mio condominio fu affidato il ruolo di Maria. In qualche modo mi sentii lusingato perché era come se da quel momento, anche se per finta, avevo una moglie. Anche quella volta continuò il gioco di sguardi con l’altra bambina.
Poi arrivò il giorno della rappresentazione, la cui preparazione a me sembrò più facile che per gli altri perché non dovevo recitare nulla, ma stare solo in ginocchio davanti alla mia Maria, con in mezzo - non ricordo più - se un bambolotto o un bambino piccolo in carne ed ossa. Ho dimenticato anche se la rappresentazione la facemmo in chiesa durante una messa o durante uno spettacolo che il giorno stesso, o uno successivo, si tenne nella sala dell’oratorio dell’Assunta.
Sotto vari aspetti quello spettacolo nell’oratorio dell’Assunta fu un momento di passaggio. La maggior parte della rappresentazione ebbe come protagonista un folto gruppo di ragazzi e ragazze del quartiere, che già frequentavano le scuole superiori, che avevano iniziato un percorso di crescita religiosa e spirituale sotto la guida del giovane Don Gianni Casiraghi, e che, per l’occasione, aveva preparato una serie di canzoni in parte di motivo religioso e in parte di genere folk internazionale. Appena iniziarono a cantare, accompagnati con una chitarra a dodici corde Ibanez da un ragazzo che non avevo mai visto, ma che mi piacque subito molto per l’atteggiamento e l’aspetto, rimasi estasiato. Era questo il tipo di musica che in quel momento amavo di più. Guardando il Festival di Sanremo 1972 in casa alla televisione, la canzone che mi era piaciuta di più era stata Jesahel, eseguito dal complesso dei Delirium, che erano saliti sul palco con un coro di giovani “capelloni”. In qualche modo lo spettacolo a cui stavo assistendo - anche se lì non deci quel collegamento - mi riproponeva una situazione simile.
In quel momento non mi trovavo seduto in mezzo al pubblico, ma in piedi dietro le ultime panche. Questo fatto deporrebbe a favore dell’ipotesi che il gruppo della rappresentazione della Natività, in cui io interpretavo San Giuseppe, si era esibito prima e poi noi attori non avevamo più trovato posto. Dopo qualche minuto che ammiravo rapito i ragazzi sul palco sentii qualcosa appoggiarsi al mio braccio destro. Mi girai ed era la ragazzina con cui ci guardavamo nelle prove che era evidentemente da un po’ lì accanto e aveva deciso di appoggiarsi a me. Farfalle nello stomaco e restammo così per alcuni minuti. Poi non ricordo che cosa successe, se semplicemente ci dicemmo delle cose relativamente banali e ci salutammo. Ma era implicito che tra noi era stato stabilito qualcosa.

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