Autobiografia giovanile - Cap. 20 - Nuovi amici, tv e Parco di Monza

 1972, dodici anni. Anno di molte novità. Credo che sia in quel periodo che abbiamo smesso di frequentare lezioni private di pianoforte, dato che ero piuttosto svogliato e preferivo dedicare il mio tempo libero ad uscire con gli amici. Più o meno nella stessa epoca, io e mio fratello abbiamo cessato anche di andare ai corsi di scherma. Nella mia nuova classe alla scuola media Luigi Majno mi sono fatto nuovi amici, così anche qualche compagno al quale non andavo a genio per qualche motivo. Due o tre dicevano che non mi lavavo molto e che puzzavo. Tra i miei nuovi amici, uno abitava poco lontano dalla scuola, aveva una bella casa, condividevamo la passione per la musica, ed eravamo entrambi i migliori a livello di rendimento scolastico: lui più di me. I nostri relativi genitori ci hanno iscritto alla Gioventù Musicale, e i sabati pomeriggio iniziammo ad andare a sentire i concerti organizzati da questa associazione che si tenevano nella sala Verdi del Conservatorio. Alla fine dei concerti, facevamo sempre un giro alla Ricordi e alle Messaggerie Musicali, dove ci soffermavamo ad ammirare gli strumenti musicali. In particolare a me piacevano gli organi elettronici. Alcuni, in mostra in una grande stanza del seminterrato delle Messaggerie Musicali, erano a più tastiere e con tanti registri. Mi piaceva sentirli suonare dal personale del negozio.

Fra i miei migliori amici, fra i compagni di classe, iniziò presto a esserci il ragazzo che veniva da Locate Triulzi. Per venire e tornare a casa doveva prendere una corriera delle autolinee Sgea, che faceva capolinea in Porta Vigentina. Abitava in una grande cascina. Qualche volta, insieme a quello fra i miei amici e coetanei del condominio che era in classe con me, in quegli anni andammo a trovare questo nostro compagno della cascina. Lì i figli del proprietario del luogo ci lasciavano guidare per brevi tratti i trattori. Poi facevamo dei giri nelle stalle e nei fienili. Nel tardo pomeriggio tornavamo a casa con le scarpe sporche di fango e letame ma molto felici per le belle ore passate in campagna. 

Se non erro, fu sempre in quell’anno scolastico che la scuola organizzò una vacanza bianca sulla neve a Selvino. Della mia classe partecipammo sicuramente io e il mio compagno e amico da tanti anni perché viveva nel mio stesso condominio. Quello, inoltre, con la cui famiglia la mia era stata per la prima volta una giornata in montagna sulla neve qualche anno prima. Io e lui condividemmo una camera doppia. Fra gli insegnanti accompagnatori c’era la nostra professoressa di musica, che notai essere una donna di mezza età molto a suo agio nelle situazioni conviviali sia con noi che con un paio di altri insegnanti. Forse è stata la prima volta che ho visto degli insegnanti in una situazione di vita diversa da quella della classe. Il mio amico era già bravo a sciare e quindi faceva lezione con dei maestri per gli allievi già di livello avanzato. Io ero nel gruppo dei principianti. Ricordo che il maestro ci faceva scendere lentamente quasi in orizzontale, in lunghi tratti a zig zag per la discesa. Alla fine di ogni tratto dovevamo frenare e curvare a spazzaneve. Una o due sere ci portarono al cinema. I film erano vietati ai minori di 14 anni ma ci fecero entrare lo stesso. Ricordo di aver visto per la prima volta delle scene di violenza tipo “pulp” e delle parti di nudo totale. Alla fine della vacanze organizzarono una gara. Io feci la mia discesa facendo in maniera da non cadere. Risultato: non fui squalificato ma arrivai ultimo. O, come mi dicevo e dicevo scherzando ad altre persone: primo degli ultimi (gli squalificati).


Io ancora in vacanza, poche settimane prima di iniziare la prima media nell'anno scolastico 1971-1972

A scuola la nostra classe continuava a distinguersi per non essere un gioiello di disciplina. Un gruppo di compagni aveva preso a bullizzare un compagno. La vittima era abbastanza alta, leggermente sovrappeso, timida e goffa. Non mi sembra che in classe avesse stretto amicizia con qualcuno. Non ricordo se solo per queste o altre caratteristiche divenne il bersaglio di scherzi. Una mattina in aula si sentì un grido di dolore. Il compagno di classe seduto dietro questo ragazzo bullizzato gli aveva infilato l’ago del compasso in una natica. Non ricordo da chi fosse partita l’idea, ma per un certo periodo di tempo, nelle lezioni di religione la classe chiese alla professoressa, della quale non avevamo peraltro molto rispetto (quando entrava in classe trovava spesso tutti i banchi schierati lungo i muri, con noi nascosti dietro gli zaini pronti a fare la guerra con le cannucce delle biro a mo’ di cerbottane e palline di carta o chicchi di riso), di affrontare il “caso…” dove al posto dei punti di sospensione c’era il cognome della vittima di bullismo e discriminazione.

Un 'altra volta ne facemmo una grossa ai danni di un bidello. Durante l'intervallo, in cinque o sei ragazzini, ci divertimmo a giocare con la pompa dell'acqua che veniva usata per pulire i bagni. Credendo che in un bagno chiuso ci fosse un nostro compagno, qualcuno ebbe l'idea di fargli cadere addosso dell'acqua. Non ci fu reazione e suonò la campanella. Dopo che qualche minuto che eravamo rientrati in classe, si aprì la porta ed entro la preside professoressa Pettinari, molto temuta per la sua severità, insieme a un bidello del nostro corridoio tutto bagnato. Il collaboratore scolastico era muto. Era lui che si trovava nel bagno in cui avevamo spruzzato l'acqua dall'alto e non aveva potuto dirci di smettere. Credo che ci prendemmo una nota di classe sul registro.

Ho sempre associato - anche perché deve essere avvenuto effettivamente così - il periodo fine 1971 -inizi 1972 all'arrivo, in casa nostra, del televisore. Da quel momento, per vedere i programmi quotidiani, non sarei più dovuto andare a casa dei nonni materni; in più potevamo vedere anche i programmi serali. Fra questi, venivano mandati in onda spesso sceneggiati televisivi, che la famiglia seguiva tutta riunita davanti all'angolo del soggiorno dove c'era la tv, dopo cena. Fra questi, ricordo dell'Eneide e - che mi aveva molto appassionato, Orfeo in paradiso, dall'omonimo romanzo di Luigi Santucci, che poi volli leggere anche come libro. Fra altri altri sceneggiati che ricordo di avere guardato ci sono di sicure anche Le sorelle Materassi, anche se non mi sono particolarmente rimaste impresse, e Le avventure di Pinocchio, del regista Luigi Comencini, con Nino Manfredi nel ruolo di Geppetto e il piccolo Andrea Balestri (di soli tre anni più giovane di me) in quello di Pinocchio. Sono quasi sicuro che, poiché stavamo ancora aspettando la tv a casa, devo essermi perso Il segno del comando, che aveva fra gli interpreti l'attore Ugo Pagliai, del quale si era presa una cotta la mia amica più grande. Sono invece in dubbio se ho effettivamente guardato - o se l'ho fatto sporadicamente - A come Andromeda, in cui recitava Paola Pitagora, che a me piaceva e della quale mi ero appeso il ritaglio di una fotografia dietro l'anta della scarpiera del bagno. Forse, però, il televisore - che non era né piccolo né grande come quello dei miei nonni- deve effettivamente essere arrivato a casa verso la fine del 1971, perché credo di ricordare di aver visto, andato in onda in quel periodo, E le stelle stanno a guardare. Come nel caso di Orfeo in paradiso, più tardi avrei letto anche il romanzo, di Archibald Joseph Cronin, che considero una delle mie prime letture di formazione. La trama mi aveva interessato moltissimo e così anche la figura della madre che interferisce negativamente nella vita dei suoi figli. Dopo aver letto il romanzo ne parlai con mia madre, che lo conosceva già.

Penso che nella prima metà del 1972, mio padre sia stato impegnato nelle lezioni di scuola guida. Sentivo parlare in casa dell'autoscuola e del suo titolare, che insegnava a guidare a mio padre così come le avrebbe fatto a me sei anni più tardi. 

Nel primo weekend di giugno, probabilmente il sabato pomeriggio, a casa nostra si tenne una festa di compleanno per i 7 anni di mia sorella Annarita. Di norma, quando c’erano delle feste per compleanni o altre celebrazioni, tutta la famiglia vi partecipava. E così anch’io rimasi in casa. Alla festa erano invitate soprattutto bambine (se non solo). Molte, forse la maggior parte, erano compagne di classe. Ebbi così l’occasione di conoscere piccole amiche di mia sorella. Io passai molto tempo nella camera mia e di mio fratello, dove vennero alcune di queste bambine. Erano piccole ma anche sveglie e simpatiche. Come ho verificato anche da adulto, molti bambini della prima e seconda infanzia, conoscendo una persona più grande, in questo caso solo un ragazzino di cinque anni più vecchio, tendono a voler raccontare qualcosa di particolare che fanno nella loro vita oppure qualcosa che gli piace. Ricordo che venne fuori, parlando con una bambina in camera mia, che lei frequentava una scuola di danza. Questa bambina era, secondo me, molto carina e con modi di fare molto femminili. Era una bambina estroversa. Mi fece vedere qualche esercizio di danza e come faceva la posizione del cigno, del balletto Il lago dei cigni musicato da Pëtr Il'ič Čajkovskij, quando era morto. Questa bambina si chiusa tutta su se stessa sul pavimento. Mi sembrò essere una promessa della danza.   

Finito l'anno scolastico, trascorsi una delle più belle pagine della mia vita. Rivissi, per la prima volta dopo cinque anni (dal 1967), un'esperienza simile a quella della colonia a Cesenatico. Solo che questa volta non ero più un bambino ma un ragazzino di dodici anni e mezzo. I miei genitori avevano iscritto a due settimane di campeggio al Parco di Monza organizzato dal Comune di Milano. La vacanza era per soli maschi. Un giorno credo che partimmo con alcuni pullman dalle vicinanze del Castello sforzesco e arrivamo a Biassono all'ingresso del Parco, dove si trovava (e c'è ancora) la Cascina Costa Alta. In un prato vicino alla vecchia costruzione - in realtà più simile a una villa che a una cascina, se non fosse per quelle che sembravano essere state stalle - erano state montate una decina di tende di tipo militare. In ogni tenda erano stati installati dei letti a castello. A occhio e croce, in ogni tenda, ce n'erano tre da un lato e tre da un altro, in modo da ospitare circa dodici ragazzini per tenda. Ogni paio di tende di ragazzini ce n'era una per gli educatori. Nessuno di questi dormiva con noi e questo mi aveva fatto piacere perché voleva dire, che una volta che gli educatori si fossero ritirati, noi eravamo da soli.

Ricordo che qualche volta, dopo che era scattata l'ora del riposo notturno, fra noi bambini e gli educatori della tenda più vicina, scoppiavano battaglie a colpi di cuscini. Solo in quelle occasioni gli educatori violavano il nostro spazio, forse perché sentivano che non stavamo ancora dormendo. Questi responsabili erano tutti giovani e simpatici. 

In tenda, io avevo fatto particolare amicizia con il ragazzino che dormiva sopra di me. Più di me lui aveva paura delle "forbicine", delle piccole blatte che avevano due pinze in fondo alla schiena e che qualche volta trovavano sui letti o fra le lenzuola. D'altra parte i letti erano issati sopra il terreno (non ricordo se ci fosse un pavimento di plastica, ma comunque le forbicine sarebbero ugualmente entrate nella tenda). Prima di andare a dormire, questo mio nuovo amico, controllava con cura il letto e canticchiava qualcosa che aveva ribattezzato "la canzone della forbicina". 

La mattina venivamo svegliati con una musica emessa da altoparlanti a tromba montati su dei pali ai lati del prato. Quelle musiche mi sono rimaste impresse e, al ritorno dal campeggio, chiesi a miei di comprarmi i dischi. Una era Popcorn, suonata dal gruppo Strana Società; un'altra era una versione pop di un movimento della sinfonia n. 40 di Mozart, arrangiata da Waldo De Los Rios e suonata sotto la sua direzione con un'orchestra che utilizzava anche strumenti elettronici. 

Nei primi giorni della vacanza io mi feci notare dagli altri per il fatto che li invitavo a non dire parolacce. Così qualcuno decise di darmi come soprannome Prete, che però non veniva molto utilizzato.

Ogni giorno i nostri educatori ci facevano svolgere diverse attività. Spesso stavamo nel prato dalla parte opposta della cascina a fare dei giochi tutti insieme. Altre volte ci mettevano fra il prato e la cascina e ci facevano cantare le canzone della trasmissione radiofonica serale (su Rai 2) Alto Gradimento, condotta da Renzo Arbore e Gianni Boncompagni (la cui prima stagione era iniziata nel 1970 e si concluse nel 1976). Il programma prevedeva molti personaggi e credo che i nostri educatori ci facessero vedere alcune gag in cui li imitavano. C'era da morire dal ridere. Un giorno, invece, ci fecero scavalcare il filo spinato che chiudeva la pista dell'Autodromo di Monza, che si trovava proprio dietro il campo dove stavano le nostre tende. Nell'oltrepassare il filo, mi ferì un ginocchio di una spina di ferro e iniziò ad uscire sangue. Qualcuno dei responsabili mi guardò la ferita e decise che non si poteva fare niente, che comunque non era grave, e proseguimmo. Ricordo che facemmo un giro della pista, iniziando dalla parte delle Curve di Lesmo, e che, fra tutte le cose, mi piacque percorrere la curva parabolica. Credo di avere ancora una piccola cicatrice a ricordo di quella avventura "illegale" voluta dai nostri adulti educatori.

Un giorno del primo fine settimana, mi venne a trovare mio padre, forse insieme a mio fratello. Era venuto con alcuni autobus. Mi portò fuori e, sempre utilizzando uno di questi autobus, mi portò in un convento di frati che si trovava lì vicino e dove risiedevano alcuni frati che, nel periodo 1969-1970 circa, venivano a Vigentino a gestire l'oratorio domenicale. Andammo a trovare in particolare uno di loro, che era quello con cui avevo stretto più legame e che era venuto, una volta, anche a trovarci a casa nostra in occasione di un compleanno o di un'altra ricorrenza.

Riccardo Cervelli anni 70 oratorio
Foto di gruppo di una gita in montagna con i frati che hanno gestito l'oratorio dell'Assunta fra la fine degli anni Sessanta e gli inizi dei Settanta

Poi cominciò la seconda settimana. In quel periodo avevo stretto un'amicizia più forte con un altro ragazzo, tranquillo e più alto di me. Credo che sul finire di tutti i pomeriggi ci recavamo anche insieme a farci la doccia. Fu a Cascina Costa Alta che ci presi gusto a fare la doccia. A casa, infatti, avevamo una vasca da bagno con un tubo doccia flessibile. Stare in piedi e farsi spruzzare l'acqua ad alta pressione dall'alto - soprattutto quando avevi cominciato a sentire che il corpo era sudato e sporco per i giochi quotidiani - era un piacere. E, comunque, non era come quando, in colonia, ci facevano delle docce così, ma camminando tutti in fila sotto diverse docce, con addetti che ci lavavano e ci asciugavano come in una catena di montaggio, e i tempi decidevano loro. Lì decidevamo noi, da una certa ora in poi, se, quando e con chi andarci a fare la doccia. Fatto sta che un giorno mi venne un po' di febbre e di prurito in tutto il corpo. Il responsabile della vacanza, un signore sportivo, elegante e professionale (mi sembra che avesse anche lavorato nel settore delle corse), decise di spostarmi nell'infermeria che si trovava nel corpo principale della Cascina. Quel mio amico con cui andavamo anche a fare le docce insieme disse che aveva già avuto la varicella e mi accompagnò alla tenda a fare il bagaglio e poi nella stanza dell'infermeria. Qui, mi avevano messo a disposizione un letto, non fatto, e delle lenzuola. Il mio amico volle assolutamente farmi il letto lui. Dopo che ci salutammo e uscì non lo vidi più. Il giorno dopo vennero mia padre e mio zio Alfredo a prendermi con la macchina dello zio. Negli anni successivi ho ripensato spesso a quel ragazzo e alla generosità dei gesti che aveva compiuto nell'ultima mezz'ora che abbiamo passato insieme.

(aggiornato il 03/05/2022)

(riproduzione riservata - Riccardo Cervelli 2022)


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