Autobiografia giovanile - Cap. 19 - Preadolescenza, affettività e scuola

 Il 9 giugno 1971 (fonte: Tecnica della scuola.it) è finito l’anno scolastico 1970-1971. Per me dev’essersi concluso qualche giorno più tardi, perché dovevo affrontare l’esame di stato della quinta elementare, necessario per poter accedere alle scuole medie. Avevo 11 anni e mezzo. Essendo nato agli inizi di gennaio, sono sempre stato fra i più grandi delle classi che ho frequentato.

Le vacanze estive successive prevedevano ancora qualche settimana di campeggio a Cogne, Valle d’Aosta. Ancora quell’anno non avevamo l’auto e quindi dobbiamo aver affrontato lo stesso tipo di viaggio da Milano a Cogne e ritorno con l’utilizzo di pullman fino ad Aosta e poi taxi fino alla destinazione. E come sempre, qualche settimana prima della partenza, mia madre ha confezionato i colli da spedire al luogo di vacanza tramite corriere, parola che ho imparato in quelle occasioni. La tenda, spedita anch’essa per corriere, era quella a casetta blu, con delle “stanze” separate per i miei genitori, che dormivano con le mie sorelle, e una per me e mio fratello.

Quell’estate nella palazzina dove vivevano i proprietari del campeggio, e dove al piano inferiore c’era la direzione e una, era venuta a vivere, in un piccolo appartamento, una famiglia. Tra i figli c’era un ragazzo della mia età, o forse un anno di più. Presto feci amicizia con lui. Trascorrevamo molto tempo insieme e una volta ricordo che siamo andati da soli a piedi fino al paese prima di Cogne, Cretaz. Al ritorno, per fare prima, facemmo l’autostop. Nei confronti di questo bambino ho sperimentato per la prima volta un senso di colpa per un mio atto di cattiveria che mi fece vergognare di me stesso ai miei occhi. La storia è rimasta però fra noi due e quindi nessuno mi ha sgridato. Non da lui, ma da altre persone, ero venuto a sapere che nella sua famiglia una persona, in passato, aveva avuto un problema giudiziario. Al mio amico non avevo mai domandato nulla in proposito per non ferirlo. Ma un giorno che per qualche motivo, mentre ci trovavamo da soli io e lui, avevamo avuto una discussione, gli rinfacciai per offenderlo quel problema giudiziario di un suo parente. Lui si mise a piangere. Non ricordo come io reagii a questo, ma penso che poi mi perdonò e restammo amici. Da allora quell’episodio è rimasto nella mia vita come esempio di come i bambini possono diventare cattivi anche se normalmente non lo sono. Non credo di aver ripetuto più lo stesso errore che feci quella volta con nessun’altra persona: usare qualcosa di cui non ha colpa per ferirla.

Riccardo Cervelli 11 anni
Io a Cogne nell'estate 1971

Quella vacanza a Cogne è restata, nel vero senso della parola, incisa nella mia vita anche per un altro motivo. Allora io - come poi anche in seguito - ero una persona molto curiosa e accumulatrice e che non si faceva troppi problemi a violare anche qualche regola per scoprire qualcosa di nascosto e, magari, prendermi un cimelio. Un pomeriggio, io, mio padre e, forse, mia sorella di 6 anni, siamo andati a fare una passeggiata nel cosiddetto Prato di Sant’Orso, una grande distesa erbosa che si trovava al di là della strada di fronte al campeggio. In alto, nel prato, c’era una casupola per gli attrezzi con una porta di legno chiusa con un chiavistello bloccato da un lucchetto. Con il bastone da montagna, con la parte superiore a forma di piccozza, che utilizzavo quando passeggiavamo, ho deciso di forzare quel lucchetto. Questo si ruppe ma volò verso la mia bocca, spezzandomi un incisivo centrale superiore. Subito tornammo al campeggio e mia madre, quando vide quello che era successo, si mise a piangere. Non me n’ero ancora reso conto, ma quell’incisivo era un dente definitivo, non deciduo. Quando tornammo a Milano - non subito perché comunque potevo continuare la vacanza anche così - iniziò una lunga sequenza di sedute Istituto stomatologico di via della Commenda. Ma le protesi che misi in successione da quell’anno fino a quando sono diventato adulto, non sono mai venute benissimo, tanto che ho passato diversi anni con corone che stavano in posizione solo perché c’era il perno, mentre l’adesivo si consumava sempre e dovevo stare attento perché facilmente il dente si staccava. A un certo punto mi sono abituato ad avere un dente che si toglieva e rimetteva. Un fatto che però ha, anche se molto limitatamente, nuociuto alla qualità della vita. Oltre alla paura che per un nonnulla venisse via il dente, c’era anche sempre anche l’ansia di trovarmi in imbarazzo a stare, anche se per poco, senza quel dente davanti. Allo stesso tempo, però, non mi andava di far preoccupare e mettere in qualche difficoltà i miei per risolvere in modo definitivo la situazione. Ogni tanto ne parlavo, cambiavamo dentista, ma poi il problema si ripresentava e allora me lo tenevo.

Ricordo che a Cogne, probabilmente grazie al juke-box del bar oltre che alle radioline portati, sentivo spesso una canzone di Lucio Battisti che mi piaceva molto: Pensieri e Parole. Negli anni a venire, quando la sentivo, mi ricordavo di Cogne.

Tornando al 1971, al ritorno da Cogne, verso fine agosto o i primi di settembre, abbiamo trovato, fra varie cartoline, anche una lettera a me indirizzata. Me la misi via perché non avevo intenzione di aprirla davanti ad altre persone e condividerne il contenuto. Il mittente era la mia amica del cortile più grande di me e l’aveva scritta dalle vacanze. Credo di averla aperta e letta mentre stavo per uscire, con la mia bicicletta tirata fuori dal box, dai garage sotto casa mia. Ne sono quasi certo perché ho ancora viva nella memoria la sensazione di angoscia che ho provato dopo averla letta una prima volta. In quel momento mi trovavo davanti alla rampa di uscita dal box. Sono rimaste abbinate la sensazione di groppo allo stomaco e la vista della rampa. Che cosa c’era scritto nella lettera? La mia amica mi raccontava di avermi molto pensato e di aver deciso di chiedermi se volevamo metterci insieme. Diversi pensieri si sono formati nella mia mente. Mi sembrava qualcosa di peccaminoso e per il quale non ero preparato. Non mi sentivo pronto a stringere una relazione sentimentale da ragazzi o adulti. Mi chiedevo che cosa avrebbe comportato. In più la mia amica mi piaceva per l’intesa intellettuale e affettiva che avevamo, ma non l’avevo mai pensata in altri termini. Dovevo anche essermi reso conto che il suo corpo si era già un po’ sviluppato in quello di una ragazzina, e non più una bambina, mentre io mi sentivo ancora un bambino. Però mi faceva anche piacere pensare che una ragazza desiderasse stare con me anche se ero più piccolo. Però non ricordo come andò a finire. Non ho memoria di averne discusso con lei. Può anche essere che, la prima volta che ci siamo rivisti feci finta di nulla, così come che, invece, le abbia detto che non me la sentivo di legarmi. Tutto, comunque, si risolse subito e continuammo a restare ottimi amici.

Forse ho comunque pensato al fatto che da quel momento avevamo qualcosa in più in comune: frequentare entrambi scuole successive alle elementari. Non ricordo se lei si accingesse a concludere le medie o a iniziare le prima superiore. Molto probabilmente, dati i tre anni di scarto fra noi, doveva essere vera la seconda ipotesi. Il che, forse, mi faceva sentire contemporaneamente più lusingato ma anche più perplesso per la proposta che alla mia amica doveva essere nata dal cuore e da una lunga meditazione.

Riccardo Cervelli 11 anni
Sempre io a 11 anni a Cogne

In quell'anno scolastico 1971-1972 mio fratello si accingeva a frequentare la quinta elementare e mia sorella Annarita la prima elementare. Entrambi andavano alla vicina scuola Wolf Ferrari. Per me, invece, iniziava un lungo periodo, durato praticamente fino all'università, di viaggi con i mezzi pubblici per raggiungere i miei luoghi di studio. 

In quel periodo non c’era ancora una scuola media nel quartiere Fatima. Le possibilità erano due: andare a quella situata in Via dei Fontanili, in quello che per noi era il quartiere Chiaradia, nato prima del nostro, e che si trovava nella parte Nord della zona Vigentino, più verso il centro città; oppure andare, prendendo il tram, nelle scuole che si trovano in zona Porta Romano. I miei genitori e quelli degli altri bambini della nostra compagnia scelsero questa seconda opzione. E così venimmo quasi tutti iscritti alla Scuola Media Luigi Majno - se maschi - o alla Scuola Media Arconati, se femmine. Le due scuole si trovavano entrambe in via Commenda e nello stesso complesso dove si trovava anche il liceo classico Berchet. Per raggiungere queste scuole, da Vigentino dovevamo prendere il tram 24, scendere alla Crocetta e percorrere a piedi un pezzo di via Lamarmora fino all’incrocio con via Commenda. Il viaggio da casa a scuola richiedeva circa tre quarti d’ora. Per quanto mi riguarda, poiché già utilizzavo da qualche anno il tram per andare a scherma in via Cerva, prendere da solo questo mezzo non era una novità. Oggi qualcuno potrebbe avere da ridire sul fatto che bambini di 8-10 anni viaggiassero da soli sui mezzi pubblici per percorrenze di non poco conto. Ma, al di là che in quegli anni c’era maggiore fiducia da parte dei genitori nei confronti della società, oggi penso che un motivo in più per non preoccuparsi era il fatto che, sui tram, gli autobus e i filobus, oltre a molti passeggeri adulti non c’era solo un altro adulto, ovvero il guidatore: c’era anche il bigliettaio. Questo si trovava in fondo al mezzo, dove c’era la salita, e alla fine, oltre a vendere i biglietti, poteva controllare che cosa avveniva sulla vettura ed eventualmente intervenire in caso di problemi. Ho appena letto che la figura del bigliettaio, sui mezzi Atm, è stata mandata in pensione il 3 marzo 1974, mentre io stavo finendo la terza media.

Per tornare alla scuola, per raggiungerla, una volta percorso a piedi l’equivalente di una fermata di tram 23 in via Lamarmora, arrivati all’incrocio con via Commenda si girava a destra. Poche decine di metri dopo c’era il portone della Arconati, dove entravano le ragazzine, e poi quello della Majno, dove ci infilavamo noi ragazzi. Ancora più avanti c’era l’ingresso, un po’ più imponente, del Berchet. La Majno e il Berchet erano collegati internamente da un cortile comune. Fino al 1940, anno in cui fu creata la scuola media Majno, tutto l’edificio era occupato Berchet, che comprendeva dal ginnasio fino al liceo classico.

La classe prima in cui mi trovai era, come lo erano allora tutte le classi di ogni grado, numerosa e, ovviamente, composta tutta da maschi. Poiché si trovava praticamente in centro, i miei compagni di classe provenivano in parte dalla mia zona e uno addirittura da Locate Triulzi (dopo Vigentino e anche dopo Opera) e in parte dalle zone di Porta Romana e Porta Vigentina. C’era anche un buon assortimento di classi sociali, che però si potevano notare solo guardando alcuni capi di vestiario o andando a trovare i compagni a casa dopo la scuola. In classe eravamo tutti uguali; a fare la differenza erano la voglia di studiare e il carattere. La mia classe era abbastanza indisciplinata, ma avevamo anche delle professoresse con alcuni anni di esperienza sulle spalle che si sapevano fare rispettare e seguire, soprattutto quelle di Lettere (professoressa Seletti), Matematica e Scienze (professoressa Formenti) e Inglese (professoressa Lolli). Allora non era prevista la seconda lingua, ma in compenso si studiava il latino (abolito nel 1978 in questo grado). Personalmente, le materie che mi piacevano di più - e in cui avevo anche un buon rendimento - erano italiano, latino, scienze, educazione artistica, applicazioni tecniche e musica. 

(riproduzione riservata - Riccardo Cervelli 2022)


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