Continuo, e proseguirò a farlo ancora per molti altri capitoli, a dedicare uno scritto ad hoc per ogni anno dell’infanzia e dell’adolescenza. Non mi sarà possibile assegnare con esattezza ogni ricordo all’anno preciso a cui si riferisce. In questi casi segnalerò che è il fatto rievocato potrebbe essersi verificato nell’anno a cui è dedicato il capitolo con un “margine di tolleranza” di uno o due anni in più o in meno. Grazie a Internet, comunque, mi è possibile collocare con più esattezza alcuni ricordi di fatti “pubblici”; o privati connessi a qualche fatto pubblico.
La letteratura scientifica fissa a 6 anni l’inizio della cosiddetta “terza infanzia” (prima da 0 a 2 e seconda da 2 a 6).
Per me l’inaugurazione di questo periodo della vita coincide - essendo nato il 10 gennaio 1960 - con gli inizi del 1966. Sarà l’ultimo anno intero che abiteremo nel piccolo appartamento al settimo piano di via D’Alviano 17 a Milano. Da quel periodo il numero di esperienze che si fissano nella memoria in modo vivido aumentano in modo esponenziale. Come già ho scritto, ad esempio, ancora del 1965 i ricordi sono pochi, anche se quelli che ho raccontato si sono impressi in modo molto preciso.
Fra i ricordi della routine familiare che posso far risalire a quel periodo uno a cui tengo molto è quello di mio padre che, nel tardo pomeriggio, rientrava dal lavoro. Prima che aprisse la porta sentivo che si avvicinava ad essa fischiettando o canticchiando. Poi la porta si apriva e compariva lui con in mano una confezione di latte. In quegli anni, la Centrale del Latte di Milano vendeva il latte in cartocci dalla forma di piramide a base quadrata che mi sono rimasti molto impressi. Una latteria dove andavamo a volte a comprare il latte e i formaggini si trovava, se non sbaglio, in via Soderini. Risale a quell’epoca il ricordo dei “punti” che si potevano raccogliere per ottenere, dopo un certo numero di acquisti, un regalo. Oppure, invece o in aggiunta ai punti, con il prodotto veniva consegnata una figurina di plastica morbida. Rammento benissimo quelle che raffiguravano la Mucca Carolina, in dono con i formaggini Invernizzi.
Anno dopo anno, nella mia mente, si componeva in modo sempre più ampio e ricco di dettagli il quadro del quartiere in cui si trovava al centro la nostra abitazione. Ogni passeggiata nel fine settimana aggiungeva delle parti. All’estremità più a Nord c’era lo stadio di San Siro, oggi stadio Meazza. Nostro padre portò una o più volte me e mio fratello a vedere delle partite dell’Inter, la sua squadra del cuore. Ricordo molto bene l’interno dello stadio, che allora aveva solo un anello. Le tribune più in alto non avevano sedie ma gradinate di cemento. Anche da lì si vedeva molto bene il campo. Nell’intervallo degli addetti poneva a centro campo una piramide di legno con dei manifesti pubblicitari attaccati su ogni faccia.
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| Un'altra foto con la cornetta del telefono e una camicia in tema marinaresco |
Il punto più a sud del quartiere che ricordo, e dove andavano spesso, era il Santuario di Santa Rita da Cascia, che si trovava già nel quartiere Barona. L’interno mi affascinava molto. All’esterno c’erano una piazza e un oratorio, dove si tenevano delle belle feste in occasione della festa della in 22 maggio.
Il punto invece più a ovest che ricordo sempre con molto affetto è piazza Tirana, dove era (ed è) situata una piccola stazione ferroviaria: Milano San Cristoforo. Ogni tanto entravamo a vedere anche questa chiesa. Un ricordo indelebile di piazza Tirana è quello di una macchina sportiva - quasi sicuramente una Porsche, dalla forma - che si è messa ad andare avanti e indietro per una strada laterale ad alta velocità, compiendo dei testacoda per cambiare direzione. Visto che non ci trovavamo in un quartiere di ricchi, ho sempre pensato che quella macchina dovesse appartenere a qualche capo della malavita. Eravamo del resto vicini al quartiere Giambellino, dal nome della via parallela a via Lorenteggio.
Ormai, a quell’età, iniziavo anche ad avere consapevolezza anche della dimensione metropolitana di Milano. Un giorno seppi anche la città aveva un sindaco che si chiamava Pietro Bucalossi. Sicuramente, fra la fine del 1965 e gli inizi del 1966, mio padre mi portò ad assistere al mio primo spettacolo di opera lirica al teatro alla Scala. Sono sicuro di questo fatto perché si trattava dei giorni in cui debuttava alla Scala, con il Rigoletto, Luciano Pavarotti. Di quella serata mi rimase impressa una voce che, alla fine dell’opera, offendeva Pavarotti dandogli del “Claudio Villa!”, nome di uno dei più famosi cantanti italiani di musica leggera dell’epoca.
Un altro ricordo della vita cittadina che al 99 per cento risale a quell’anno e, in particolare, alla primavera del 1966, è quello del primo sciopero a cui ho assistito. Come si può leggere anche su Wikipedia, nel 1966 per due volte si sono svolti degli scioperi degli autoferrotranvieri per il rinnovo del contratto. Mi ricordo che, siccome quello in questione durava diversi giorni, erano stati utilizzati i camion dell’esercito per sostituire i mezzi su alcune linee. Ho ancora in mente l’immagine di me, mia madre e sicuramente mio fratello e mia sorella piccola che venivamo aiutati da dei militari a scendere da un camion in piazza Frattini.
Infine, sempre al 1966 risale il mio primo ricordo dell’ascolto di uno Zecchino d’Oro, la rassegna canora per bambini organizzata dall’Antoniano di Bologna, presentata dal mitico Mago Zurlì (al secondo Cino Tortorella) e trasmessa in radio e televisione dalla Rai. A ruota poi venivano pubblicati dei dischi a 33 e 45 giri, che noi acquistavamo. A me doveva essere piaciuta soprattutto la canzone Orazio il cane dello spazio, cantata dal bambino Mario Giordano. Una domenica pomeriggio o una sera si tenne una festa nell’oratorio della parrocchia dell’Immacolata Concezione di Piazza Frattini, nella cui chiesa già venivamo portati a messa e dove io mi annoiavo molto durante il lungo rito della consacrazione. Ebbene, a mio genitori venne in mente di mandarmi sul palco del teatro dell’oratorio a cantare Orazio il cane dello spazio, ed io accettai convinto di sapere cantare e di ricordarmi la canzone. Invece, dopo la prima strofa non mi ricordavo più le parole e finii. Mio nonno paterno, Nevio Cervelli, mi disse più tardi che, mentre cantavo, lui era fuori dall’edificio e che però mia aveva sentito bene dalla piazza, tanto urlavo. Quella è stata la mia prima esibizione musicale. Io e la musica stavamo prendendo confidenza.
(riproduzione riservata - Riccardo Cervelli 2022)

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