Il numero 1965 mi è capitato di ricordarlo spesso nella mia vita. Intendo nel senso di anno. In effetti è particolare perché si è trovato giusto a metà di un decennio, quello degli anni Sessanta del XX secolo. In quell’anno è nata mia sorella Annarita. Ho svolto il servizio militare, dopo alcuni rinvii per l’università (mai finita), tra il 1984 e il 1985, insieme con i ragazzi nati nel 1965 (a parte altri più vecchi come me e qualcuno - molti pochi - di più). Ho avuto, nella mia vita, tre storie con donne di quell’anno, fra le quali la madre dei miei figli, da cui sono divorziato.
Nel 1965 abitavamo (io, mio fratello Cristiano e i miei genitori) ancora in via D’Alviano a Milano. A giugno, come già scritto, è nata la mia prima sorella Annarita. Dei mesi prima della sua nascita non ho molti ricordi. Non ricordo del pancione di mia madre, così come non ricordo nemmeno di quello successivo, per la seconda sorella Susanna, nata nell’aprile 1969.
Come ho già scritto, né io né mio fratello andavamo alla scuola materna, ma passavamo le giornate con mia madre. Forse potrebbero risalire a quell’epoca (ma anche se non fosse così, non li ho ancora rievocati), alcuni ricordi sempre della seconda infanzia. Periodo che, secondo Wikipedia, fa dai 3 ai 6 anni. Tipo che nostro padre, la sera prima di dormire o durante i fine settimana, ci leggeva sempre qualche cosa. Ricordo molto bene che, fra le letture, c’erano dei romanzi di Emilio Salgari e delle poesie di Federico García Lorca. Del resto, come ho già sottolineato, a casa non avevamo la televisione (c’era a casa dei nonni materni; in quella dei nonni paterni non ricordo). In compenso si ascoltavano molto la radio e i dischi sul giradischi. Fra le trasmissioni che ricordo in particolare di sentire sempre alla radio c’erano Sanremo, Lo Zecchino D’oro e - perché lo ascoltava mio padre - Hit Parade.
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| Io in posa con il telefono a muro nero che si usava negli anni Cinquanta e Sessanta |
Dei primi mesi del 1965 ricordo di una sera in cui i miei avevano chiamato un’ambulanza. Già, perché non avendo noi nemmeno l’auto, per andare all’ospedale a partorire mia madre chiamava un’ambulanza (tranne che per Susanna, la quartogenita: allora l’accompagnò in clinica un amico di famiglia, che abitava nella scala a fianco).
Rammento ancora che io e mio fratello eravamo nella nostra stanza semibuia e ascoltavamo avvicinarsi una sirena. Ho l’impressione che non fosse l’ambulanza che doveva portare la mamma alla clinica Mangiagalli per il parto di Annarita,bensì quella che, poche settimane dopo la nascita, fu chiamata per portare mamma e figlia, all’”ospedale dei bambini” Buzzi. A mia sorella, infatti, era insorta una grave gastroenterite. Desumo che quell’ambulanza fosse per questo secondo fatto poiché mi sembra che non stessi ascoltando una sirena per la prima volta, che per la seconda. E che questo ascolto mi ricordasse il primo.
Fu a seguito del ricovero di nostra madre che, molto probabilmente, io e mio fratello fummo lasciati per qualche ora da una vicina di casa. Ricordo comunque bene questa situazione. Io e Cristiano a fare colazione nella cucina della vicina, con due tazze piene di latte e mio fratello che aveva fatto sgocciolare un po’ di questo sulla tovaglia. Non so se è avvenuto nella stessa giornata, ma un altro bel ricordo di questa vicina è che io e mio fratello stavamo nel suo salotto e lei ci suonava qualcosa con una pianola o un piccolo organo elettronico. Questa immagine mi è rimasta impressa e me ne ricordo quando vedo delle vecchie pubblicità di organi elettronici - soprattutto apparse su riviste americane - in cui si vedono delle signore che suonano delle musiche per allietare una festicciola con bambini o parenti.
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| Io al battesimo di Annarita |
Quello che più mi è rimasto più impresso di quell’anno è stato, infine,il periodo in cui, essendo nostra madre ricoverata con nostra sorella all’ospedale pediatrico, e nostro padre impegnato a lavorare in banca, io e mio fratello fummo affidati per diverse settimane ai nonni materni. Vivemmo così per un po’ nella casa di via Venini. Allora i miei nonni avevano una signora che veniva a fare i mestieri e che si occupava anche di noi bambini. Mi sembra che si chiamasse Lina, che fosse di mezza età e che vestisse un camice particolare, di colore nero o comunque scuro. E forse aveva anche un colletto bianco (ma questa potrebbe essere un’impressione derivata dall’aver visto una donna di servizio e tata simile per nostra madre e suo fratello quando erano piccoli). Lina, o Tina, era di sicuro molto premurosa ma anche discreta, per quel poco che mi ricordo. Comunque una che ci sapeva fare.
Ricordo anche che qualche volta abbiamo dormito (o siamo stati comunque a lungo), nel lettone con i nonni. Questo era avvenuto sicuramente in un’occasione in cui a mio fratello era venuto un mal di pancia. Mi sembra di avere visto per la prima volta, in quell’occasione, mio nonno anziano in canottiera (era del resto piena estate)
Nostro padre ci raggiungeva nel weekend. Ricordo di un pomeriggio che siamo andati vicino all’ospedale. Mi rimasero impressi i vagoni parcheggiati della tramvia che portava da Milano alla Brianza (credo Meda) e che mi sembravano per certi aspetti simili, ma per altri molto diversi dai tram che ero abituato a vedere. Avevano anche un che di misterioso..
Ma il fatto che più ritengo essere stato impattante sulla mia vita, di quei giorni di affidamento ai nonni, è stata l’iscrizione di me e Cristiano a un centro estivo allestito in una scuola vicino alla loro casa. Fra parentesi, la nonna Carla era stata maestra elementare, e negli ultimi anni aveva scelto di lavorare come maestra d’asilo, forse perché - come mi racconterà qualche anno più tardi - aveva avuto una trombosi che l’aveva obbligata a dover reimparare quasi tutto, compreso il parlare e scrivere.
Non so se fosse la scuola dove aveva insegnato la nonna. Comunque per me e mio fratello era un’esperienza insolita, quella di trovarci in mezzo a tanti altri bambini, con educatrici che ci tenevano in salone o ci portavano in giardino, ci facevano mangiare e giocare.. Forse non era una prima volta per la maggior parte degli altri bambini. Fra questi mi ricordo in particolare una bambina, che era molto tranquilla ed era anche carina, benché avesse una bocca abbastanza larga che, con un naso forse un po’ all’insù, faceva sì che il suo viso (che ripeto non mi dispiaceva) mi ricordasse un po’ il muso di un’anatra.
Ricordo bene anche che, a metà pomeriggio, ci portavano in cortile vicino al cancello della scuola, e lì trovavo la nonna che ci veniva a ritirare.
Purtroppo, un pomeriggio accadde un imprevisto, che dimostrò chiaramente due cose: da un lato il mio carattere impulsivo e dall’altro lo svantaggio di non essere stato precedentemente abituato a convivere molte ore con altri bambini in un ambiente come un asilo. Mentre eravamo a giocare in giardino, un compagno aveva fatto qualcosa di male, ma non gravissimo, a mio fratello. Per vendetta io raccolsi una pietra abbastanza grossa e e con causai un taglio sulla pancia di questo bambino. Non so quale sia stata alla fin fine la gravità di questa ferita, ma quello che avvenne subito dopo non lo posso dimenticare: nostra nonna non ci portò più al centro estivo.
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| Annarita a sei mesi |
Il 1965 è rimasto l’unico anno della nostra infanzia in cui siamo rimasti a Milano. Ma non credo che siamo rimasti dispiaciuti. Nelle estati successive ci siamo ampiamente rifatti.
(riproduzione riservata - Riccardo Cervelli 2022)



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