Autobiografia giovanile - Cap. 39 - Anno mistico

 Nella classe dei biennio quarta-quinta in cui mi ritrovai nell’autunno 1978, all’Unione Professori di via Torino, feci inizialmente conoscenza con il mio compagno di banco. Durante una delle prime chiacchierate che facemmo gli raccontai qualcosa del mio viaggio in Marocco. Il giorno stesso, o quello successivo, mi avvicinò un altro compagno il quale mi disse che, stando in un banco dietro il nostro, aveva sentito del mio viaggio in Marocco e che anche lui era interessato a certi argomenti che avevo toccato a proposito di questa esperienza. Diventammo così amici. 

Intanto, con alcuni dei vecchi amici del Cpv e qualche altro amico che non ne aveva fatto parte, alcuni pomeriggi ci trovavamo nella casa occupata. Però non utilizzavamo più i due locali storici del primo piano, ma andavamo in un appartamento del terzo che, l’anno prima, era occupato dai fricchettoni che erano stati mandati via dal Mls. Anche quest’ultima ormai non si faceva più vedere alla casa occupata; del resto i suoi membri venivano tutti da fuori zona. Quando andavamo alla casa occupata passavamo lì solo del tempo a divertirci e sentirci raccontare qualcosa da qualche amico più grande. Poi, verso Natale, io, mio fratello, e altri due del gruppo che si era unito a me e ai miei tre amici dalla fine del 1976 (ricordo anche che ci conoscevamo già dalle elementari) decidemmo di passare il capodanno ad Amsterdam. 

Arrivammo ad Amsterdam in treno il giorno di Santo Stefano e alloggiammo in un ostello vicino a piazza Dam in una camerata molto grande. Di notte eravamo in tanti a dormire sui letti a castello, ma non facemmo amicizia con nessuno. Preferimmo stare fra di noi. Passammo le giornate passeggiando per la città. Un fatto divertente che ci capitò fu quello di entrare in un pub, stare per ordinare della birra, ma accorgerci subito che nel locale c’erano solo uomini che ci fissavano e ci lanciavano occhiate ammiccanti. Fu quella la mia scoperta dell’esistenza di luoghi riservati ai gay. Siccome ci sentimmo a disagio, perché in quegli anni non era così frequente conoscere e frequentare persone con un orientamento omosessuale (ne conoscevamo tutti solo uno, che veniva qualche volta alla casa occupata), non ordinammo, salutammo e andammo a cercare un altro locale. Ogni sera andavamo invece in un club grande che si chiamava Paradiso. Esternamente sembrava una casa occupata. All’interno c’era una grande sala dove si tenevano dei concerti. Ovviamente c’era anche un bancone per ordinare da bene e, in un pianerottolo delle scale, c’era una piccola rivendita di hashish e marijuana, con tanto di listino prezzi appese sulla parete. Al Paradiso, una sera, ascoltammo un concerto di Jim Capaldi, l’ex batterista dei Traffic, uno dei complessi che avevo iniziato a conoscere nel 1974 ascoltando il programma Popoff alla radio sul canale Rai Radio 2. Non ho moltissimi ricordi di quel viaggio.

Amsterdam Paradiso
Sulla destra il club Paradiso di Amsterdam nell'inverno 1978-1979

In seguito formammo un trio affiatato anche con un altro compagno di classe. Tutti e tre avevamo diversi interessi comuni. Il primo che avevo conosciuto (dopo il mio compagno di banco), proveniva da un’altra scuola privata e abitava vicino a viale Argonne, non lontano dal liceo da cui arrivavo io: il liceo scientifico Donatelli di viale Campania. Il secondo, invece, abitava al Gallaratese e non ricordo quale scuola avesse frequentato prima. La famiglia era - almeno in parte - marchigiana. Tutta la famiglia, o uno dei genitori, erano proprietari di un albergo sulla costa, a nord di Ancona. Tutti e tre amavamo la musica e fra le prime cose che facemmo insieme fu quella di andare a suonare in una sala prove: io, che in quel periodo stavo riavvicinandomi al piano, anche se senza più il ricorso al materiale didattico ma “andando a orecchi”, scelsi di suonare un organo; il compagno del Gallaratese si mise alla batteria e l’altro alla chitarra. Per la verità non sapeva ancora suonarla, ma gli insegnai un po’ di accordi che poteva fare senza difficoltà. Non suonammo molto e ci limitammo per lo più a provare gli strumenti e a improvvisare per capire quale genere di musica era più nelle nostre corde. L’amico che abitava al Gallaratese ci aveva proposto di chiamarci Mystic Lay Brotherhood; io e l’altro accettammo ma già nei giorni successivi non parlavamo più di questo nome. Riuscimmo a inventare un pezzo che ci tenne impegnati almeno una decina di minuti. Quella fu l’unica volta che suonammo tutti e tre insieme.

Cominciammo anche a uscire qualche pomeriggio dopo la scuola. Almeno una o due volte ci recammo al Parco Lambro. Due o tre volte andai a dormire a casa del compagno del Gallaratese, che mi fece ascoltare alcuni dischi di Max Roach, il batterista che preferiva. Era un musicista jazz e anche a me piacque quello che ascoltai. Uscendo con l’altro amico che abitava vicino viale Argonne, ebbi modo di conoscere la sua ragazza, con cui stava da diverso tempo. L’amico mi raccontava delle cose che facevano insieme e che io non avevo ancora iniziato a fare con nessuna. L’altro non ricordo se avesse una ragazza. In caso positivo non abitava a Milano, ma forse nelle Marche. Con quest’ultimo facemmo qualche giorno in montagna da me in roulotte.

Parco Lambro 1979 montagnetta
Foto scattata da me al Parco Lambro fra l'inverno e la primavera del 1979

Sempre in quei primi mesi del 1979 continuavo a uscire anche con gli amici del quartiere che avevo iniziato a frequentare nel 1978. I miei tre amici con cui, alla fine del 1976, avevo iniziato ad andare alla casa occupata, e con cui avevamo deciso di sistemare un appartamento per trovarci a suonare e svolgere altre attività di tipo artistico, non li vedevo più. Uno, forse, era andato a svolgere il servizio militare in anticipo, non so per quali strade, ma comunque era entrato nella squadra sportiva dell’esercito perché era un bravo sciatore da quando era bambino. Dico che doveva essere partito in anticipo perché, nella primavera e estate 1979 era di nuovo a Milano e mi raccontava alcune esperienze del periodo militare. E lui aveva circa due anni meno di me: quindi, a conti fatti, forse era partito volontario minorenne. Di certo non era un militarista, a forse aveva compiuto questa scelta per qualche ragione particolare, fra quali potrebbe esserci stata quella di levarsi il pensiero di dover partire per la leva più avanti. Nel 1978, del resto, anche lui come me non stava frequentando regolarmente la scuola, e forse i suoi gli avevano prospettato quella possibilità in un momento in cui però non ci stavamo frequentando. 

Quando arrivò la bella stagione, con un grosso gruppo di amici e conoscenti che avevano gravitato intorno alla casa occupata e che ora si incontravano al bar Frison, la sera cominciai ad andare spesso sulle gradinate della chiesa Madonna di Fatima. Qualcuno portava la chitarra, fra cui io, e una di quelle disponibili la suonava quel ragazzo grande che era tornato da Londra un anno, un anno e mezzo prima, e che aveva iniziato a suonare con una band abbastanza famosa di Milano. 

Dopo che era tornato da Londra, quel ragazzo aveva iniziato a praticare il buddismo di Nichiren Daishonin, a cui era stato convertito da un ragazzo della sua età che abitava a San Donato Milanese. Allora i praticanti di questo buddhismo giapponese, che facevano capo all’organizzazione laica Soka Gakkai, in tutta Italia erano poche centinaia. Diverse decine abitavano a Milano o nei dintorni. Ma si era creato soprattutto un grande gruppo a San Donato, e in particolare nel suo quartiere Metanopoli, dove abitavano soprattutto famiglie di impiegati e dirigenti di aziende del gruppo Eni, che lì aveva la sua sede. Nel 1975 o 1976, un giovane di Metanopoli, anche lui di circa otto anni più grande di me, era stato convertito al buddismo di Nichiren Daishonin da un batterista jazz afroamericano che veniva spesso in Italia. Subito lui parlò di questa pratica a tutti i suoi amici, e molti iniziarono a praticare anche loro. Intanto, altre persone, venute a conoscenza di questo buddismo per altre strade, avevano iniziato in altre città italiane. Ma fu soprattutto a Metanopoli che ci fu un rapido sviluppo, perché ragazzi e ragazze sempre più giovani, molti dei quali frequentavano le scuole dell’istituto omnicomprensivo di San Donato, si misero a praticare. 

Personalmente, già dal 1978 circa, io avevo iniziato ad interessarmi di filosofie orientali. Per qualche mese, fra il 1978 e il 1979, con qualche altro ragazzo della casa occupata avevo iniziato a frequentare un corso di yoga. Ogni tanto mi compravo qualche libro sullo yoga e sul buddismo. La sera che, davanti alla chiesa di Fatima, dopo aver suonato per circa un’ora la chitarra, il ragazzo tornato da Londra e convertito al buddismo di Nichiren Daishonin iniziò a parlarne a me, come aveva fatto le altre sere con altri, io gli dissi: “Non c’è bisogno che cerchi di convincermi. Ti ho ascoltato già le altre sere. Voglio provare a praticare anch’io”. Così iniziai a dire tutti i giorni, mattina e sera, le preghiere (consistenti nella recitazione continua di una frase, che rappresenta la Legge Mistica dell'universo, e nella lettura di parti di due capitoli del Sutra del Loto del Budda Shakyamuni) e ad andare a qualche riunione organizzata nelle case di alcuni praticanti a Milano. Ma dopo un paio di mesi, lo stile di vita che avevo intrapreso in quel periodo con alcuni amici, si dimostrò troppo in conflitto con quello di un serio praticante buddista e così smisi di praticare e di andare alle riunioni. Ciò nonostante, spesso, mentre mi ritrovavo a guidare il motorino per le vie di Milano, mi ritornavano nella mente delle parti del Sutra che ormai avevo imparato a memoria. Non c’era niente da fare: si erano come incarnate nella mia mente. Allora mi mettevo a cantare qualche canzone, fra le quali, mi ricordo chiaramente, c’era L’anno che verrà di Lucio Dalla, pubblicata sull’omonimo album uscito all’inizio del 1979. 

(riproduzione riservata - Riccardo Cervelli 2022)


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