Autobiografia giovanile - Cap. 38 - Campeggio e nuova scuola

Riccardod Cervelli 18 anni 18yo
Io ancora a Tengeri, sulla spiaggia con un amico tedesco, nell'estate 1978
 

Dopo il viaggio di ritorno all’insegna della fame dal Marocco a Milano e il pranzo con mio padre, ancora impegnato nel lavoro, come ho già scritto, raggiunsi il resto della famiglia al Camping di Grigna di Ballabio. Qui ritrovai quasi tutti i miei amici e le mie amiche conosciuti nelle due estati precedenti. A questi, in quelle settimane si aggiunsero altri ragazzi e ragazze che non avevamo mai visto prima ma che si integrarono nel nostro gruppo già bello numeroso. Io continuavo ad essere il “chitarrista”, nel senso che mi portavo quasi sempre dietro la chitarra ed eseguivo, per chi volesse ascoltare, un repertorio di canzoni soprattutto di cantautori italiani come Edoardo Bennato, Francesco De Gregori, Francesco Guccini, Claudio Lolli. Non mancava anche qualche brano internazionale, come alcuni pezzi del Crosby Still Nash & Young (quelli dell’album Four Way Street) o di Bob Dylan. A volte si univa a me nel suonare l’amica coetanea che a Milano frequentava l’istituto tecnico per il Turismo Varalli. 


Giorno dopo giorno mi ripresi dagli stenti del viaggio di ritorno dal Marocco e iniziai una serie di settimane di divertimento e di lunghe chiacchierate con ragazze e ragazzi che, quando non erano su un vacanza al campeggio, praticavano stili di vita molto diversi dal mio, senza escursioni in territori al di là della legge e del buonsenso. Erano, insomma, quello che nel gergo mio e dei miei amici che frequentavo di più a Milano, del “regolari”. Mi ero anche lasciato alle spalle un'esperienza una tantum di salto di qualità nell’utilizzo di sostanze. Furono settimane in cui forse le uniche esperienze di sballo furono qualche birra in più con qualcuno più grande di me. C’era un addetto adulto del campeggio che, qualche volta la sera, portava me e qualche altro di noi più grandicelli a Lecco. Fu durante una di quelle uscite che feci la prima scoperta delle “angurie al gelo”, di cui divenni molto goloso da allora in poi. Un’altra volta mi portò a cena in un ristorante che si trovava fuori Lecco, all’inizio della salita per la Valsassina, dove mangiai per la prima volta le rane fritte, che trovai deliziose. E sicuramente le annaffiammo con del buon vino o della birra.

A metà agosto circa, scesi a Milano con mio padre per un imprevisto che era avvenuto nella parentela. Quasi tutti gli anni, durante la permanenza al campeggio di Ballabio, una volta ero sceso a Milano con mio padre, per motivi diversi. La prima volta, credo nel 1976, lo feci per tenergli compagnia ma anche perché avevo sentito per la prima volta che era alcuni mesi precedenti (dicembre 1975) era nata Radio Montevecchia, una nuova radio privata che irradiava il suo segnale dalla collina vicino a Monza verso Milano, ed ero curioso di ascoltarla. L’anno dopo, invece, accompagnai mio padre a casa nostra per - credo - uno sopralluogo, e la sera decidemmo di andare a vedere un film. C’erano pochissimi cinema aperti e finimmo per andare in uno dove proiettavano il film Maladolescenza, un film uscito nel 1977 di Giuseppe Murgia e che trattava delle prime esperienze erotiche di due ragazzine (interpretate da Eva Ionesco e Lara Wendel) e di un ragazzino (Martin Loeb), con scene di nudo che oggi sarebbero bandite come pedopornografia. Nel 1978, invece, quando scesi andammo a trovare mio nonno paterno e allora rafforzai il mio legame con lui, in un modo che non si era potuto verificare negli anni precedenti dell’infanzia e dell’adolescenza.

Oltre che suonare, nella compagnia del campeggio di Balisio, giocavo molto con amici di tutte le età. In effetti stavamo quasi sempre tutti insieme in un salone, quello dove c’era il ping pong. A me si era molto affezionata una bambina di dieci anni più piccola di me, sorella minore di due amiche di età più prossima alla mia. Questa bambina trovava in me la persona che riusciva ad entrare nel suo mondo psicologico e con cui riusciva a parlare, molto più che con gli altri bambini della sua età. Intanto però io avevo iniziato ad essere attratto da una ragazza che trovavo da sempre molto carina e con cui decidemmo che stavamo insieme, in quel periodo di vacanze, ma senza che fra noi avvenisse qualcosa di molto più spinto di abbracci, bacini, carezze innocenti e così via. Lei mi ascoltava molto, sia suonare ma anche raccontare le mie esperienze. E quell’anno c’era sicuramente il viaggio in Spagna e Marocco. Di lei, invece, non parlava molto, forse perché ero io a monopolizzare i discorsi o forse perché era una ragazza che viveva come la maggior parte di quelle della sua età. Con la mia amica coetanea, invece, capitava che parlavamo di politica. Feci anche molta amicizia con un ragazzo della Brianza che alloggiava con i suoi in un appartamento fuori dal campeggio e con il quale, negli anni successivi, iniziammo a fare delle escursioni sulla Grigna. 

Ogni tanto, siccome io ero forse l’unico ad avere la patente, caricavo più ragazzi e ragazze possibili sulla Opel Kadett familiare e li portavo fino a Barzio. Per qualche tempo si unì alla nostra compagnia anche un uomo adulto single, che era venuto in campeggio da solo, forse con una tenda. E un giorno andammo a fare una passeggiata tutti insieme vicino a Moggio. Al ritorno io volli fare il bullo e spinsi la mia auto a tutta velocità, mettendo a rischio me e tutti i miei passeggeri. Superai il nostro amico adulto, che guidava un’altra macchina e stetti davanti per tutto il percorso fino a Colle di Balisio, dove si trovare per la precisione il campegno di Ballabio. Raggiunta la strada principale della Valsassina mi fermai allo stop. Fu allora che il nostro amico mi raggiunse e mi superò, vincendo così la gara a chi arrivava prima al campeggio. Fra le cose belle che facemmo durante quelle vacanze, grazie anche all’autonomia che ci concedeva il mio avere la patente, ci fu andare a Barzio a vedere il divertentissimo film Animal House, uscito da poco, diretto da John Landis e in cui vidi e apprezzai per la prima volta l’indimenticabile attore John Belushi. 

Poi le vacanze finirono e tornammo tutti nelle nostre rispettive città. Rientrato a Milano ricominciai a vedere i miei amici nuovi con cui avevo cominciato ad uscire quasi sempre dopo che avevo smesso di frequentare la parte rimanente di quello che una volta era stato il Cpv, ossia gli amici che si erano uniti a me e ad altri tre nella seconda metà del 1977. Come ho già scritto, con quel gruppo, dopo i fatti collegati allo sgombero dei fricchettoni che abitavano al terzo piano della casa occupata da parte di una squadra di militanti del Mls, visto che non mi sentivo benvoluto, mi ero allontanato da quegli amici. Nel frattempo, sempre come già riportato nella puntata precedente avevo cessato quasi del tutto (se non del tutto) di andare alla casa occupata.

Il nostro appartamentino su due piani che avevamo sistemato per farne la sede del Cpv nella seconda metà del 1977 e nei primi mesi del 1978, ormai erano abbandonati. I fasti di quel luogo erano diventati in breve tempo roba del passato. Prima che io e altri due miei amici dalla fine 1976 ci staccassimo dal gruppo ex Cpv, uno di loro (quello che aveva la casa in montagna dove andavamo spesso) aveva portato nei locali del Cpv il suo impianto di amplificazione. Doveva trattarsi ancora dei primi mesi del 1978. Avevamo montato l’impianto nella stanzetta del secondo piano e qualche volta ci mettevamo lì a suonare. In quel periodo, da qualcuno dei nostri amici più grandi, che ogni tanto venivano a farci visita, avevamo sentito che un loro amico chitarrista era da poco tornato da Londra, dove era stato per molto tempo e aveva conosciuto e suonato qualche volta con Eric Clapton. Ebbene, una sera, mentre ci trovavamo tutti nella stanzetta a suonare, dal buco dove sbucava la scaletta con cui si accedeva al locale, apparve un ragazzo alto, con un aspetto molto più grande di noi, i capelli lunghi. Ci salutò e ci chiese se poteva suonare anche lui. Era il ragazzo, che allora aveva circa 26 anni, tornato poco da Londra. Prese in mano una delle due chitarre elettriche che avevamo lì e iniziò a suonare. Mi sembra che io lo accompagnai solo con gli accordi che mi diceva di fare. Lui invece improvvisava con una tecnica che non avevo mai visto finora da nessuno, almeno da pochi metri di distanza. Siccome però avevamo il volume alto fu proprio in quella occasione (e non nelle altre in cui avevamo suonato fra di noi) che poco dopo qualcuno che abitava nelle vicinanze chiamò la polizia. 

Fatto sta che mentre stavamo suonando, sempre dallo stesso buco nel pavimento si palesarono due agenti. Io rimasi tranquillo perché pensavo che fossero i vigili urbani che avevamo già conosciuto. Infatti stavo per dire che la nostra presenza lì era un fatto risaputo dal loro comandante o collega superiore, quando notai la riga rossa sui loro pantaloni grigi. Allora mi scappò da dire: “Ah, voi siete della PS”. Comunque gli agenti si limitarono a riportarci le lamentele ricevute e noi decidemmo o di abbassare notevolmente il volume o di smettere addirittura di suonare. Del resto era ormai sera tardi. La polizia se ne andò senza effettuare nessuna identificazione e scrivere alcun verbale. Ci salutarono, forse, facendo le solite raccomandazioni di rito, e se ne andarono. Fu così che conobbi quel famoso chitarrista, che era tornato dopo anni ad abitare nel nostro quartiere (e che un anno e mezzo o due dopo scoprii essere stato un grande amico del ragazzo della Comunità di Cl che mi aveva insegnato a suonare la chitarra) e che ebbi, per la prima volta l’onore di suonare con lui.

Tornando alla fine dell’estate 1978, oltre ai miei nuovi amici acquisiti quell’anno nel quartiere, ripresi anche a vedere gli altri dai quali mi ero allontanato mesi prima perché mi ero sentito non più gradito. E ciò era dimostrato dal fatto che, dopo un po’ che ci eravamo ritrovati nello stesso posto, a un certo punto loro se ne andavano via senza invitarmi a seguirli (portandosi dietro anche l’amico della fine 1976 che non si era già distaccato dal gruppo) e io restavo da solo. E a quel punto o me ne tornavo a casa o andavo a cercare gli altri amici dai quali invece mi sentivo benvoluto, fra i quali i nuovi o quelli più grandi di me e che frequentavano il bar Frison. 

Ma al rientro delle vacanze, come ho scritto più sopra, si riallacciò il rapporto con questi, ai quali nel frattempo si era unito anche qualcun altro, fra cui un mio ex compagno delle elementari che non avevo mai frequentato prima. Intanto, però, avevo iniziato a frequentare una nuova scuola: il terzo diverso istituto della mia carriera liceale. Si trattava di una scuola privata situata in via Torino e che offriva la possibilità di fare due anni in uno. Già, perché mia madre, santa, dopo che avevo smesso di frequentare decisamente il Donatelli prima della fine dell’anno scolastico 1977-1978, e che avevo manifestato l’intenzione di dedicarmi all’agricoltura (a partire dall’esperienza dell’orto), mi convinse a finire il liceo. Del resto la mia scelta di non andare più a scuola e iniziare qualche tipo di lavoro non era mai stata frutto di molti ragionamenti. Continuavo, a latere di molte altre cose, a interessarmi di scienze e di filosofia. Così quando si parlò di frequentare quel biennio per prendere il diploma, accettai volentieri, mettendo fra i miei obiettivi futuri anche quello di iscrivermi all’università. Tra l’altro, la stessa scelta che aveva fatto la mia famiglia l’aveva fatta anche quella di un mio vecchio amico d'infanzia, di condominio ed ex compagno di scuola, con cui quindi potevo riprendere a fare la strada insieme per la nuova scuola, anche se eravamo nella stessa classe. In questa invece subito feci amicizia con i nuovi compagni, con due dei quali, poco tempo dopo abbiamo iniziato a uscire insieme.

(riproduzione riservata - Riccardo Cervelli 2022)


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