Autobiografia giovanile - Cap. 35 - Montagne e molotov

Riccardo Cervelli 17 anni 17yo
Io a 17 anni a Ballabio
 

La primavera del 1977 mi è rimasta impressa con un insieme di colori, odori, sensazioni. Bigiavo spesso. Alcuni giorni l’amico con cui stavo vedendomi più spesso in quel periodo mi accompagnava a scuola in motorino. Mi presentavo in classe o in aula studenti e poi uscivo nuovamente con lui. Molti degli episodi più piacevoli da ricordare di quell'anno riguardano le gite alla casa di vacanze in montagna di quel mio amici.

La prima volta che ci andammo, facemmo il viaggio in treno. Giungemmo alla stazione più vicina al paese dove eravamo diretti che era già sera. Quindi percorremmo circa otto chilometri di salita a piedi. L'aria era tiepida ed era molto buio. Intorno a noi volava migliaia di lucciole. Sembrava di avanzare immersi in un acquario pieno di luci che diventavano sempre più piccole e meno luminose più erano distanti. Arrivati in casa accendemmo il fuoco nel caminetto in una piccola stanza accanto al soggiorno. Ci sdraiammo nella stanzetta e rimanemmo lì ad ascoltare della musica e a parlare. In particolare ricordo di aver provato molto piacere, quella sera, ad ascoltare, da una musicassetta registrata, l’album Wish You Were Here dei Pink Floyd. In quel periodo, sia io che i miei amici, ascoltavamo molto, oltre i Pink Floyd, anche i Gong, i Tangerine Dream e Battiato. 

Un'altra gita che io e questo mio amico facemmo fino alla sua casa in montagna fu particolarmente memorabile. Era sempre primavera. Mio nonno paterno Nevio mi aveva regalato un motorino Chiorda a tre marce che era stato di mio zio Alfredo. Mio zio non voleva più usarlo perché un giorno, mentre era ci stava viaggiando sopra, ero stato investito da un'auto, era caduto e aveva battuto la testa. Quindi era stato ricoverato per qualche giorno in ospedale in stato confusionale. Una mattina io con il mio Chiorda e il mio amico con un ciclomotore Garelli a tre marce, uscimmo da Milano lungo il viale Certosa e prendemmo la statale del Sempione. Lungo la strada ci divertivamo a sorpassarci a vicenda. Io sostenevo che il mio Chiorda andasse circa cinque chilometri più veloce del suo Garelli. Un giorno, con le moto, andammo a visitare Lugano, che non era molto distante. Forse fu sempre in occasione di quella breve vacanza che ci raggiunsero la madre e la sorella del mio amico, insieme a un’amica single della madre. Ricordo che una sera dopo cena, mi offrii di lavare i piatti e che mentre lo facevo la mamma del mio amico disse alla sua amica che io sembravo una ragazzo molto “casalingo”. Presi la frase come un complimento che mi è sempre rimasto impresso. 

Un’altra volta, ma utilizzando il treno, andammo in quella casa del mio amico in montagna io quattro: io, lui, un altro nostro amico, e una mia ex compagna del liceo Einstein che aveva la mia età. Dopo il mio trasferimento dall’Einstein al Donatelli io continuavo a frequentare i miei ex compagni impegnati politicamente, la maggior parte dei quali li avevo coinvolti nello sforzo di mantenere in vita il Collettivo Autonomo Einstein (Cae). Fra questi c’era quella ragazza che, per venire con noi, era scappata di casa. La prima notte che siamo stati su stava per accadere qualcosa fra me e lei, ma mentre eravamo vicini a realizzare quello che aspettavo da tempo di fare con qualche ragazza, ci accorgemmo che uno degli altri due nostri amici era seduto a pochi metri da noi. Poco dopo che lo salutammo, lui se ne andò in un’altra stanza, ma la nostra amica non era più convinta di avere un rapporto e quindi siamo solo rimasti sdraiati sul letto a parlare. Il giorno dopo sentimmo bussare alla porta. Allora non c’erano i telefoni cellulari. La mamma di quella ragazza, che sapeva che noi ci frequentavamo (almeno una volta avevamo tenuto una riunione del Cae a casa loro, mentre altre volte i componenti del Collettivo li invitavo io a venire alla casa occupata di Piazza dell’Assunta) era riuscita a trovare il numero di mia madre e l’aveva chiamata. Quindi mia madre aveva telefonato alla madre del mio amico, che aveva chiamato il proprietario di un bar del paese vicino alla casa di montagna. Quando aprimmo la porta, dopo questo aveva bussato, ci chiese. “C’è la signorina…”. Mi fece una certa impressione quel “signorina” per una ragazza di 16 anni (credo non avesse ancora compiuto i 17, mentre io sì). Allora scendemmo tutti al paese e la nostra amica chiamo la madre, che la invitò a tornare a casa. Decidemmo tutti di tornare con lei a Milano. 

In quel periodo, avevo iniziato a fare nuovi tipi di letture, alcune delle quali suggerite da amici conosciuti alla casa occupata e che non facevano politica attiva ma rientravano nel novero di quelli che avevano già da anni intrapreso uno stile di vita più controcorrente. Quanto avvenne quella gita con la nostra amica nella casa in montagna, avevo iniziato a leggere, o avevo da poco finito, A scuola dallo stregone, di Carlos Castaneda. Lo avevo voluto comprare in inglese in una edizione tascabile Penguin Books che ancora conservo gelosamente. Continuavo, forse già dall’anno precedente, a leggere anche libri che parlavano di psicologia infantile. Avevo iniziato a leggere dei classici, come le opere di Jean Piaget, ma mi erano piaciuti anche due libri usciti negli anni precedenti: Dalla parte delle bambine, di Elena Gianini Belotti, Il pesce bambino, di Michele Zappella, e Se tuo figlio ti domanda, di Annie Reich. Non specificamente incentrati sulla psicologia infantile, sempre in quel periodo (anno più o meno) ho apprezzato molto anche: Tre saggi sulla teoria sessuale di Sigmund Freud, La rivoluzione sessuale di Wilhelm Reich, e L’arte di amare di Erich Fromm. 

Intanto, non avevo smesso di frequentare, di tanto in tanto, il Circolo Romana-Vigentina. Non andavo proprio d’accordo con tutti i membri del gruppo. Con il mio amico che me lo aveva fatto conoscere e con quello che era il leader de facto mi trovavo molto bene, con altri non c’era molta sintonia. Questo dipendeva, l’ho capito più tardi, anche da me, poiché a volte tendevo a fare il saputello. Anche lì ogni tanto invitavo a venire degli amici dell’Einstein, fra cui una ragazza che aveva la stessa età della mia ex fidanzatina dell’oratorio e che, come questa, faceva la prima liceo in quella scuola. Uno dei motivi per cui frequentavo il Circolo Romana-Vigentina è che avevo iniziato a rifare l’impianto elettrico che collegava gli impianti impianti dei singoli appartamenti al contatore centrale, con cui ci collegammo. Fra questo e i cavi che portavano la corrente ai diversi piani, mettemmo un interruttore generale che comprai in un negozio di materiale elettrico ed elettrodomestici che si trovava lì vicino e che apparteneva a un vicino di casa del mio condominio, la cui famiglia era molto amica della mia. Ho saputo solo in anni recenti, circa quarant’anni dopo, che questo vicino disse ai miei che mi aveva visto frequentare un posto poco raccomandabile e che i miei, non solo ci dettero importanza a quello che avevano sentito, ma che più o meno gli devono avere detto che erano fatti miei, o nostri. Forse allora quel vicino e la moglie rimasero un po’ offesi. 

Fra le ultime attività che svolsi insieme ai compagni del Circolo ci fu la partecipazione alla manifestazione del 14 maggio a Milano in cui rimase ucciso l’agente Antonio Custra. Ricordo che il corteo principale era giunto, per concludere la manifestazione, in piazza del Duomo. Il nostro gruppo fece in tempo ad arrivare lì quando venimmo a sapere che c’era stato uno scontro fra autonomi e polizia e che un poliziotto era stato ammazzato. Ricordo che mentre eravamo già entrati nella piazza, un grosso gruppo di manifestanti - che potevano essere di Avanguardia Operaia (Ao) o del Movimento Lavoratori per il Socialismo (Mls) - al ricevimento della notizia si compattò e tutti i suoi componenti alzarono le braccia brandendo delle grosse chiavi inglesi che luccicarono alla luce del sole. Noi - o meglio i nostri più esperti - capimmo che era iniziata una “caccia all’autonomo” e ci allontanammo dalla piazza. Ricordo che il nostro gruppetto passò, a un certo momento, per via Festa del Perdono e che vidi, da un locale, uscire scortato un ragazzo molto più grande di me con la faccia insanguinata. Pensai subito che dovesse essere un autonomo. 

Ma oltre alla casa occupata di piazza dell’Assunta, che ormai era diventata la mia (nostra) base, e alla casa occupata di Corso Lodi 6 (dove c’era il Circolo Giovanile Romana-Vigentina), in quel periodo capitava anche che, soprattutto insieme ad un altro dei miei amici dalla fine del 1976, andassi anche alla casa occupata di Corso Lodi 95. Qui io e quel mio amico andavamo a trovare delle altre persone, almeno una delle quali era impegnata in una radio privata di sinistra, Canale 96. Il mio amico, in quel periodo, andava spesso in quella radio a condurre le trasmissioni per qualche ora. Anch’io andai due o tre volte con lui. Ricordo che una sera proposi di fare una trasmissione del tipo “microfono aperto” con gli ascoltatori sul tema “Misticismo e psichedelia”. Io svolsi la maggior parte del ruolo di conduttore, mentre il mio amico presentava e faceva ascolta brani musicali. Non rammento esattamente cosa ci fosse nella selezione, ma in quel periodo ascoltavamo, come ho già scritto, soprattutto rock progressivo, musica elettronica, musica cosmica e free jazz. Per la verità, quella sera, mi sembra che chiamò solo un professore di filosofia, con cui ci tenemmo compagnia telefonicamente a lungo.

A luglio raggiunsi i miei nel campeggio di Ballabio, in Valsassina, dove, dall’anno precedente,  tenevamo la roulotte. Un po’ di giorni più tardi, insieme a mio fratello, ci recammo a Onno, un paese sul lago di Como, non lontano da Lecco, dove io volevo trovare uno dei miei amici con cui mi frequentavo da un po’ di mesi, e mio fratello un nostro amico di infanzia, suo coetaneo. Entrambi questi nostri amici si conoscevano, come tutti noi, da quando eravamo piccoli e quindi facemmo qualche giro tutti e quattro insieme, compresa una bella gita in mezzo al lago su una barchetta a remi. Da dopo quell’esperienza, al ritorno a Milano, formammo un’unica comitiva con i miei amici e quelli di mio fratello. Ma, ripeto, prima non ci frequentavamo, ma ci conoscevamo tutti almeno dai tempi delle elementari e dei giri da bambini in quartiere.

Fu forse quell'estate a Ballabio che conobbi la maggior parte delle ragazze e dei ragazzi che poi ritrovai anche negli anni successivi e con cui stringemmo forti rapporti di amicizia. Con due sorelle continuiamo a frequentarci e una, una quindicina di anni più tardi, diventerà la moglie del mio migliore amico. Il gruppo che costruimmo nel campeggio nell’estate 1977 era molto eterogeneo per età. Io e la mia coetanea che frequentava l’istituto per il Turismo a Cimiano (vicino al Molinari) eravamo i più grandi. Poi c’erano molti ragazzi e ragazze di uno, due, tre, quattro anni più giovani di me. Quasi sempre stavano con noi anche bambini e bambine che erano fratelli o sorelle dei miei amici e delle mie amiche più vicine a me come età. Quando ci trovavamo nello spazio destinato ai giovani del campeggio io suonavo spesso la chitarra. Diverso tempo lo trascorrevamo anche giocando a ping pong o chiacchierando. A un certo punto, con la scusa che ogni tanto andava mossa, iniziai ad accendere la nostra macchina e a portarla fuori dal campeggio su per una stradina. Ogni volta, dato che era sempre la stessa Opel Kadett famigliare, la macchina si riempiva di amici di ogni età. Credo che sia successo sempre quell’anno che, un pomeriggio, andammo qualche ora a casa di una ragazza che non soggiornava nel campeggio. L’appartamento in affitto si trovava comunque vicino. Mentre eravamo a casa sua, io e lei iniziammo a parlare sempre di più da soli e forse ci mettemmo anche vicini su un letto. Sinceramente non ero molto attratto da lei, sebbene fosse una bella ragazza. Il giorno dopo mi disse che, quando eravamo a casa sua, lei avrebbe voluto fare sesso con me. Io le dissi che non me n’ero reso conto e le chiesi se fosse ancora interessata. La risposta fu negativa. Quando lo dissi a un altro ragazzo, che veniva nel campeggio ma soggiornava  anche lui in una casa esterna, credo che mi rispose che o ci avrebbe provato lui o che lei gli aveva proposto la stessa cosa. Non so se era avvenuto o se sarà avvenuto qualcosa fra loro successivamente. Personalmente era attratto da altre tre ragazzine che però erano troppo più giovani perché io ci potessi seriamente provare, ma della cui sola compagnia mi sentivo appagato. 

Al rientro dalle vacanze ripresi il mio tran tran precedente, fra casa occupata di piazza dell’Assunta al Vigentino, i miei amici con cui mi ero unito verso la fine del 1976 e il Circolo Giovanile Romana-Vigentina, con cui i rapporti stavano diventando sempre più radi. Alcuni di loro, peraltro, stavano proprio in quell’epoca pensando di provare a fumare delle canne e ci rimasero quando videro me e qualcun altro dei miei amici, in visita lì, che andavamo nello scantinato a farcene una. Credo che allora noi li invitammo. Ma con quei ragazzi in particolare non avevo ma legato, o almeno non mi sentivo benvoluto. Uno, soprattutto, mi sembrava che ce l’avesse sempre avuta un po’ con me. Non so quando me lo disse, e se me lo disse lui, ma in passato frequentava l’oratorio di Sant’Andrea e conosceva qualcuno - e una ragazza a cui continuavo a tenere particolarmente, anche se non la vedevo più - che conoscevo anch’io. 

Comunque, fu con questi amici del Circolo che la sera del 13 settembre mi recai al velodromo Vigorelli dove era in programma un concerto di Carlos Santana. Non ricordo se avevo solo saputo che loro volevano andarci o se dovevamo andarci perché era stato organizzato qualcosa a cui noi (mi consideravo ancora parte del Circolo) dovevamo partecipare. Fatto sta che entrammo nel velodromo con i gruppi di Autonomia e dei circoli che sfondarono i cancelli e quindi non pagammo. Dopo poco tempo che era iniziato il concerto, mentre le luci sul palco erano soffuse, notai una piccola luce arancione volare da un punto a sinistra del pubblico (guardando il palco) e finire sul palco vicino ad alcuni amplificatori. Quindi ci fu una fiammata e tutte le luci del velodromo si accesero. Quella che avevo visto volare era la miccia di una bottiglia molotov. Intanto da alcune parti del pubblico si sentiva gridare lo slogan “Via, via i servi della Cia!”, con chiaro riferimento a Santana. Io, per la verità non avevo mai pensato a un collegamento fra i grande musicista e i servizi segreti americani, e inoltre ero già soddisfatto per essere entrato gratis al concerto. Dal 1976 in avanti, avevo già partecipato ad altri “sfondamenti” in occasione di concerti all’insegna della cosiddetta “autoriduzione”, promossa soprattutto dai circoli giovanili e da Autonomia, e quindi probabilmente pensavo che il nostro obiettivo era già stato raggiunto entrando senza pagare al concerto. Tuttavia, mentre stavamo uscendo dalla struttura, perché ormai il concerto era stato annullato e stava anche per arrivare la polizia, mi ritrovai con gli altri a svuotare velocemente delle bottiglie molotov in alcuni bagni che avevamo trovato lungo la strada per l’uscita. Non so se avevo saputo che anche noi ci eravamo portati dietro delle molotov.

Sempre in quel periodo iniziai la quarta liceo scientifico, dopo essere stato promosso a un esame di riparazione in educazione fisica a cui mi ero condannato non andando praticamente mai alle lezioni. Sulla pagella, nella colonna del secondo quadrimestre, accanto al nome di questa materia campeggiava una sigla: N.C. Non classificato. Per la quarta cambiammo aula, ma la realtà fu che la frequentavo pochissimo, mentre preferivo passare la maggior parte delle ore in aula studenti. 


Collettivo Politico Vigentino
La scritta Collettivo Politico Vigentino sopra l'ingresso dei nostri locali

Alla casa occupata di piazza Assunta, invece, dato che, come ho già accennato, il piccolo nucleo di amici con cui mi ero unito al alla fine del 1976 si era ampliato con l’aggiunta della compagnia che frequentava mio fratello, proposi di chiamare il nostro nuovo gruppo più allargato Collettivo Politico Vigentino (Cpv). Credo che l’idea venne accettata non tanto per convinzione politica di tutti quanto perché il fatto di darci un nome soddisfaceva forse il bisogno psicologico di identificarci in maniera originale e perché io, essendo il più grande del gruppo, avevo un certo potere di persuasione. 

Tra gli episodi di quel primo periodo del Cpv mi ricordo questo. Durante una delle nostre passeggiate per il quartiere, avevamo scritto in diversi punti della via Val di Sole con un gessetto "vieni al Cpv", con vicino una freccia indicante la direzione della casa occupata. Un pomeriggio, mentre ci trovavamo nei nostri locali, vedemmo entrare una ragazza, sorella di uno dei miei primi storici amici d’infanzia. Ovviamente la conoscevo e avevamo giocato insieme perché aveva solo due anni meno di me. Non credetti alle mie orecchie quando ci disse: "Ho seguito le frecce e sono arrivata qui". Noi eravamo tutti maschietti e una femmina era una rarità. Per un certo periodo questa ragazza venne al Cpv accompagnata dalla sorella più piccola di un anno. Parlando con noi, la maggiore chiamava la sorella “il testimone”. Non ricordo più per quale motivo. Forse voleva dire che la sorella minore avrebbe potuto testimoniare davanti ai suoi che alla casa occupata non succedeva nulla di male. In effetti questa non disse quasi mai una parola per tutto il tempo che accompagnò la sorella. Poi continuò a venire solo questa e lei non vedemmo più. 

Alla ripresa della scuola, infransi la promessa fatta ai miei di non farmi più vedere nelle vicinanze del liceo Einstein. In occasione di qualche mobilitazione portai i membri del Cpv - che come me andavano tutti in scuole che aderivano in massa agli scioperi - a fare picchetto alle entrate della mia vecchia scuola. 

Anche in quel periodo iniziale del Cpv, il mio vecchio nucleo di amici continuò a vivere qualche esperienza separatamente dagli altri. Uno dei temi che ci univa in modo esclusivo era l’interesse per il free jazz. Ad essere sinceri erano soprattutto due dei quattro componenti del nostro gruppo che lo amavano e lo conoscevano. A me stava bene un po’ perché certi artisti e opere mi piacevano, un po’ per curiosità intellettuale. Ad esempio, ricordo che un giorno io e altri due andammo a casa di altri studenti dell’Einstein a provare una specie di performance. Uno iniziava a leggere delle pagine di un libro. Qualche secondo dopo iniziava un altro, e così via. Dopo qualche minuto nella camera dove ci trovavamo si sentivano più voci leggere cose diverse. Ogni tanto ognuno doveva iniziare a cambiare il tono di voce, l’espressione, la velocità di lettura. Intanto il tutto veniva registrato. Non so che fine ha fatto quella registrazione e se sia mai stata ascoltata e valutata da qualcuno oltre noi. 

Sempre noi del gruppo iniziale meno uno decidemmo di andare ad assistere, la sera del 2 dicembre 1977, a un concerto di John Cage al teatro Lirico di Milano. L’evento è tutt’oggi molto ben ricordato da chi c’era, fra cui anche molti nostri amici più grandi noi di qualche anno, che erano andati al teatro per conto loro. Prima che John Cage salisse sul palco, sopra di questo non notammo alcuno strumento musicale. Sulla destra, dal punto di vista di chi guardava, c’erano solo un tavolino, una sedia, una lampada e un microfono. Quando Cage entrò in sala, andò a sedersi a quel tavolo e iniziò a leggere da un libro. Tutti aspettammo per alcuni minuti che finisse di leggere e che iniziasse qualche altra esibizione. Invece continuò imperterrito. A un certo punto una buona parte del pubblico iniziò a rumoreggiare e a gridare fra di protesta. Qualcuno decise di salire sul palco. Ci fu chi spegneva la luce sul tavolino, che poi Cage riaccendeva, e poi chi (uno, l’ho saputo di recente, era uno dei nostri amici più grandi, che non era seduto vicino a noi tre), gettò dell’acqua contro l’artista. Ricordo che a un certo punto qualcuno, salito anche lui sul palco e preso un microfono, disse che dovevamo smettere di tormentare John Cage perché così facevamo solo “il suo gioco”. Poi non ricordo più come finì lo spettacolo. Credo che certamente lo fece prima del previsto con Cage che uscì di scena e non tornò più.

Qualche giorno più tardi, il 7 dicembre, era in programma come tutti gli anni nel giorno di Sant’Ambrogio (patrono di Milano) la prima della Scala. Io sapevo che tutti i gruppi politici di estrema sinistra, compresa l’Autonomia, sarebbero scesi in piazza a protestare contro questo evento simbolo della borghesia, poiché ci potevano partecipare solo i ricchi. Non ricordo più se perché non ero interessato ad andare alla manifestazione anch’io, se non avevo il coraggio di chiedere (in casi particolari mi sentivo ancora in dovere chiedere il permesso di uscire, visto che ero ancora minorenne) ai miei di andare, oppure perché ormai avevo smesso praticamente di frequentare gruppi organizzati. Fatto sta che non andai al corteo. Quella sera ci furono scontri durissimi con la polizia e diverse persone - forse anche qualcuno che avevo conosciuto - si ustionarono lanciando bottiglie molotov. 

Personalmente non mi dispiacque di non essere stato presente. Inoltre avevo iniziato a programmare un viaggio a Londra, a cavallo di Capodanno, con mio fratello e uno dei miei amici carissimi di quel momento. Il viaggio doveva avvenire in treno fino a Calais, poi in traghetto, e poi ancora in treno fino a Londra Victoria Station. Per la prima volta comprai dei biglietti internazionali all’agenzia Transalpino, nostro padre acquistò dei travel cheque da darci per poi farli cambiare a Londra, e mi informai un po’ su dove potevamo trovare un ostello e che tipo di abbonamento ai mezzi pubblici ci conveniva di più comprare una volta giunti sul luogo.

(riproduzione riservata - Riccardo Cervelli 2022)

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