Autobiografia giovanile - Cap. 16 - Politica

 Il 1969, e credo soprattutto a partire dall’autunno, deve essere stato l’anno in cui per la prima volta ho percepito con una certa chiarezza l’esistenza di un fenomeno che si chiamava politica. Qualcosa con cui avrei fatto i conti anche negli anni dell’adolescenza.

Ecco qualche scampolo di ricordi che si legano alla storia famigliare. 

Penso che sia stato nel 1969 che i miei genitori hanno iscritto me e mio fratello a un corso di scherma. La palestra si trovava in via Cerva e doveva essere anche un centro federale, dato che sulla cancellata c’era una targa con il nome e il simbolo del Coni (Comitato Olimpico Federale Italiano). Io avevo un maestro molto serio ma affabile che si chiamava Bonato di cognome (qualche anno più tardi verrà a sapere che era anche un capitano dei Carabinieri). Mio fratello invece era istruito da una maestra. Via Cerva è una stradina parallela a via Durini, che si trova fra Largo Augusto e piazza San Babila. Durante la settimana, per andare alle lezioni, io e mio fratello prendevamo il tram da soli. Ricordo che spesso, scendendo in via Mazzini, eravamo avvicinati da un anziano pedofilo, che ci chiedeva se volevamo andare a casa sua, dove aveva molti giocattoli. Benché fossi ancora relativamente piccolo, io avevo capito quali intenzioni avesse quell’uomo e ogni volta gentilmente declinavo il suo invito. Lo vedevo rinunciare qualche passo a fianco a noi deluso, ma forse abituato. 

Nel tardo pomeriggio ci veniva a prendere nostro padre, che allora lavorava alla sede della Banca Commerciale in piazza della Scala. Un paio di sabati pomeriggi sulla strada del ritorno insieme a nostro padre, dopo le abituali soste al bar trattoria Crota Piemontesa di piazza Beccaria, dove mangiavamo sempre un panino con il tonno, passammo da piazza del Duomo, dove erano in corso delle manifestazioni. In un caso, sentii da lontano uno che stava parlando da un palco e molte persone che lo contestavano. Capii che lui stava rispondendo “Io non ho paura di voi! Io non ho paura di voi”. Mio padre mi disse che l’oratore era Ugo La Malfa, segretario del Partito Repubblicano Italiano (PRI). I contestatori erano evidentemente di sinistra e giovani extraparlamentari di sinistra. Un’altra volta sentii un’altra voce più giovane. Anche nei suoi confronti c’erano delle persone che fischiavano e che urlavano “Tamara Baroni!”. Seppi che il contestato era Mario Capanna, uno dei fondatori del Movimento Studentesco, che era accusato di avere una relazione con l’attrice e modella Tamara Baroni, identificata come un simbolo della borghesia che il movimento voleva abbattere. Forse dopo quel fatto capii per la prima volta, o ebbi modo di approfondire, il concetto di incoerenza. Ricordo che in piazza del Duomo c’erano anche mezzi militari delle polizia e dei carabinieri.

Un tardo pomeriggio di dicembre eravamo a casa. A un certo punto squillò il telefono e mia madre andò a rispondere all’apparecchio che avevamo in soggiorno (un altro era nella loro camera da letto). Mi avvicinai alla mamma e capii che stava parlando con il papà. Alla fine della telefonata mi disse che nostro padre le aveva raccontato che stava tornando a casa e che in una banca del centro era probabilmente esplosa una caldaia. Era il 12 dicembre del 1969 e quella che era scoppiata - nella sede della Banca Nazionale dell’Agricoltura in Piazza Fontana - non era una caldaia ma una bomba, che aveva causato 16 morti. Ricordo anche di aver sentito che, negli stessi giorni, a mio padre, nella sede della Banca Commerciale in piazza della Scala, era capitato di aver dovuto raccogliere una valigetta in cui, mi sembra, dopo la polizia aveva rinvenuto un’altra bomba. Ma su questo fatto la memoria è meno precisa anche se la storia di mio padre e di una valigetta sospetta è sicura.

Riccardo Cervelli bambino
Io a 10 anni sulla mia amata bici da cross Legnano


Sempre in quel periodo, cioè fra il 1969 e il 1970, avevo capito qualcosa in più degli orientamenti politici nel mio ambiente famigliare. Ogni tanto, a casa nostra venivano a trovarci i miei zii materni, Miro Cusumano, fratello di mia madre, e Paola Errichelli, sua moglie. Mi colpiva il fatto che indossassero sempre dei jeans. Insomma, capii poi che si vestivano alla maniera dei giovani di sinistra. O meglio estrema sinistra. Un pomeriggio, mi trovavo giù, nella strada sotto casa, e mi trovavo in piedi a fianco di una macchina ferma in cui dentro c’erano i miei zii e un loro amico, Massimo, al posto di guida. Ricordo che chiesi che cosa fosse una bottiglia o un termos, che si trovava tra i due sedili davanti, e che Massimo, scherzando, mi disse che era una bottiglia molotov. In quel momento mi resi conto che i miei zii materni erano in qualche modo collegati al movimento di contestazione che era in corso in quel momento, anche se ancora non sapevo che si trattasse di quello del ‘68.

Più o meno nello stesso periodo della terza infanzia, preadolescenza, seppi anche che mio nonno paterno Nevio e mio zio paterno Alfredo erano simpatizzanti ed elettori del PCI (Partito Comunista Italiano). Mia nonna materna Iris Catarsi non so, e comunque in quell’epoca, come ho già scritto, non comunicava molto a causa di quella che chiamavano "arteriosclerosi". Mio nonno materno Matteo Cusumano, forse perché una volta glielo chiesi, si disse liberale. Mia nonna materna Carlotta Barbieri non aveva un credo politico preciso ma era comunque orientata verso il centro e, credo, la Democrazia Cristiana (DC). Mio padre e mia madre erano democristiani. Mio padre, mi disse una volta, da giovane aveva simpatizzato per i “radicali”, che però non dovevano coincidere con i militanti del Partito Radicale di Marco Pannella. Ma, da quando soprattutto eravamo venuti ad abitare a Vigentino, e mio padre era diventato molto attivo nel Comitato Opere Parrocchiali (COP), aveva iniziato a militare seriamente nella Democrazia Cristiana, e in particolare nella corrente della Base.

Dopo la strage di Piazza Fontana, sentii più forte la curiosità per la cronaca politica, in particolare quella legata a eventi molto particolari come la guerriglia urbana, le rivoluzioni, gli attentati e il terrorismo. Non nego che, forse perché c’era in me (rafforzata forse anche dall’ingiustizia subita da degli adulti in colonia nel 1967) una certa fascinazione per le ribellioni, dopo aver visto delle foto di un’azione terroristica avvenuta all’estero, per qualche giorno pensai tra me e me che, da grande, mi sarebbe piaciuto diventare un terrorista. Ma devo ammettere che, sempre a seguito dell’esposizione a qualche fatto di cronaca, pensai lo stesso verso il mestiere di spacciatore di droga. 

Il 16 dicembre 1969 avvenne il caso della caduta dell’anarchico Giuseppe Pinelli da una finestra della Questura di Milano, dove era tenuto in stato di fermo e interrogato dal Commissario Luigi Calabresi come sospettato della strage. Ancora oggi non posso dire di essere convinto su ciò che è avvenuto: se cioè Pinelli sia stato buttato giù dai poliziotti o si sia gettato per suicidarsi. I miei zii materni, invece, erano fra quelli che sostenevano che Pinelli era stato ucciso. Nel 1970 circa, non ricordo con sicurezza, i miei genitori mi avevano regalato un radioregistratore. Fra le cose che feci con quell’oggetto, che ho tenuto con affetto per diversi anni, ci fu quella di registrare, un giorno in cui ci vennero a trovare, i miei zii Miro e Paola cantare diverse canzoni. Fra queste mi rimase molto impressa la “Ballata di Pinelli”, che infatti poi imparai a memoria. In questa canzone Pinelli viene definito vittima di un assassinio da parte dei poliziotti che lo stavano interrogando, fra i quali c’erano il commissario Calabresi e il questore Antonino Allegra. 

Qualche giorno dopo la strage di Piazza Fontana, oltre a Pinelli fu arrestato come sospetto coautore anche l’anarchico Pietro Valpreda. Nel 1972 Valpreda fu candidato alle elezioni politiche nelle liste del Manifesto, che partecipava per la prima volta come partito “parlamentare”, lasciando così la propria identità “extra parlamentare”. Ricordo che in quell’occasione sentii dire a mia madre che stava prendendo in considerazione l’idea di votare Valpreda, perché evidentemente convinta dell’innocenza dell’anarchico. La cosa mi sorprese perché non avevo mai pensato che mia madre potesse votare un partito di sinistra, figuriamoci di estrema sinistra. La notizia mi fece molto piacere perché riconobbi in mia mamma una grande onestà intellettuale.

(riproduzione riservata - Riccardo Cervelli 2022)


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