Autobiografia giovanile - Cap. 13 - Bambine, tecnologia e scienza

 Una cosa di cui mi ricordo bene di me da bambino è stata la capacità di creare relazioni forti sia con gli altri bambini maschi sia con le bambine. Come ho già scritto, dalla seconda elementare fino addirittura a metà del liceo sono sempre stato in classi maschili. Solo in prima elementare fra il 1966 e il 1967 ero stato in una classe mista. Non avevo frequentato la scuola materna, avevo un fratello poco più piccolo di me maschio, fra me e mia sorella Annarita c’erano cinque anni e mezzo di differenza, anche nel mese circa di colonia a Cesenatico avevo vissuto solo fra maschi, perché le bambine erano tenute separate.

Fortunatamente, almeno nel condominio in cui siamo andati a vivere nell’estate 1967 ho potuto fare amicizia con le prime bambine (fatta salva, in precedenza, la brevissima amicizia con una sorellina di un compagno di prima elementare, quando vivevamo ancora in via D’Alviano, nella periferia Ovest di Milano). Il condominio di via Pick Mangiagalli, nel quartiere Fatima, zona Vigentino di Milano (Sud), aveva più o meno bambini di entrambi i sessi in egual misura. E giocavamo tutti insieme nel cortile, nella via o nel cosiddetto “campetto”, un prato sovrastato da una pianta grande e antica, pieno di erbacce e buche. Qui, un tardo pomeriggio, mi ero ritrovato da solo con una amica, che era anche la mia fidanzatina, e siccome le era sopravvenuto un bisogno fisiologico e mi aveva chiesto di prestarle aiuto a trovare una foglia con cui asciugarsi, ho colto la palla al balzo per farmi vedere meglio come fosse stata nelle parti privata una persona dell’altro sesso. Tolta la curiosità non ci pensai più, mentre continuai a provare piacere tanto nel giocare e parlare con i maschi quanto a fare queste due cose con le femmine. Nel parlare, poi, scoprii che ero molto portato a farlo con alcune bambine, in particolare una di tre anni più grande di me, che aveva delle piccole bamboline con le quali ci faceva divertire inventandosi delle rappresentazioni teatrali in cui gli attori principali erano un paio di queste bamboline..

Alla scuola elementare, comunque, i due mondi non si incontravano. Sia la mia classe che quella di mio fratello erano maschili, e così credo che non fossero classi miste in tutto il plesso scolastico. Così le mie uniche amiche femmine erano ancora solo quelle del cortile. Ricordo che una mattina la mia maestra, con cui dalla terza elementare (1968-1967) avevo finalmente intrecciato un buon rapporto di stima e affettività, mi inviò a consegnare un foglio di una classe la cui maestra era chiamata anche la “capogruppo”. Era, insomma, una maestra normale ma anche una coordinatrice o qualche cosa del genere. Si chiamava Montegani e, nonostante non fosse più giovane e avesse un’aria autorevole, suscitava ugualmente molta serenità e simpatia. Quando bussai alla porta, lei mi fece entrare nell’aula e io mi trovai davanti a una classe tutta piena di bambine di prima elementare. Mi rimase impressa l’immagine di queste bambine, una o due delle quali avevo già visto in quartiere, tutte sedute composte, con il grembiulino bianco, e tutte dietro a banchi in cui, nel buco destinato al calamaio (che nella nostra classe utilizzavamo ancora), avevano un vasetto con una piantina grassa o un piccolo cactus.

Sempre io nel 1968, a otto anni, con il mio padrino della Prima Comunione

L’altro luogo, oltre al cortile, dove nell’epoca fra i sette e i nove anni ho avuto modo di giocare e interagire spesso con bambine è stato Legri (un borgo vicino a Calenzano, in provincia di Firenze, dove dal 1966 avevamo iniziato a trascorrere le vacanze estive, e di cui ho già parlato spesso nei capitolo precedenti). Come ho già avuto modo di scrivere, i maschi della mia età non li frequentavo se non quando si svolgevano dei giochi nella pineta organizzati da seminaristi del Pime, che venivano nella pieve di Legri a trascorrere le vacanze e a intrattenere noi piccoli. Ricordo solo di qualche volta in cui mi sono trovato in pineta con altri bambini maschi, che avevano costruito delle slitte con delle cassette di frutto e delle assi, utilizzate come pattini, e con queste scendevano da un pendio erboso fino al centro della pineta. Ma in generale i bambini maschi, a differenza delle coetanee femmine, erano più liberi di scorrazzare fuori dal borgo; oppure, come recentemente mi ha detto qualcuno, andavano ad aiutare gli adulti nei lavori di campagna. E così io e mio fratello, durante mattine e lunghi pomeriggi, ci ritrovavamo a giocare con alcune bambine nel centro del paese. 

C’era una bambina che aveva solo un anno meno di me e che era molto intraprendente. Con lei mi trovavo spesso, anche quando non c’era tutto il gruppo delle altre bimbe. Un giorno avvenne un piccolo incidente, che può capitare quando si hanno diversi bambini insieme, con età leggermente diverse. Io, lei, un’altra bambina più grande di noi e mio fratello ci eravamo arrampicati su un albero dove era già stata costruita una piccola piattaforma di legno. L’obiettivo era continuare il lavori per costruire una vera e propria casetta. A un certo punto, non ricordo più perché, la mia amica si è arrabbiata con mio fratello e gli ha dato un piccolo colpo con il martello sulla fronte. Il colpo non era forte, ma siccome è stato dato con i martello dalla parte del tirachiodi, sulla fronte di mio fratello si è formato un piccolo taglio. Subito il padre della nostra amica ha portato mio fratello in un ospedale a Calenzano, ma per fortuna hanno dovuto solo disinfettare e medicare la ferita, senza dover neppure mettere dei punti.

Nella compagnia c’erano anche due sorelle. Una, più grande, aveva tre anni più di me. Era soprattutto lei che proponeva quali giochi fare. Era longilinea, un po’ più alta di noi (intendo io, mio fratello e le altre bambine), con un  bel viso e i capelli lunghi e scuri raccolti in due treccine stile Pocahontas. Io sicuramente provavo un certo fascino nel guardarla fisicamente e come si comportava. La trovavo molto carina e interessante. La sorella aveva invece tre anni meno di me ed era molto diversa fisicamente. Aveva anche lei le trecce, portava gli occhiali, non era alta ed era robusta. Nonostante la allora non piccola differenza di età, aveva un modo molto sicuro di sé e maturo  di comportarsi, credo perché aveva un modello nella sorella più grande. Quindi stava perfettamente a suo agio fra noi e viceversa. Poi c’erano anche un’altra bambina della mia età, che aveva un viso molto carino e interessante, con due occhi grandi e che a me sembravano a volte malinconici o dallo sguardo aristocratico. Non erano ovviamente tutte le bambine con cui giocavano, ma sono quelle delle quali ho più conservato un ricordo vivido. 

Credo che nel 1968 ho colmato quel gap di conoscenza dell’altro sesso che non credo che, neanche a quei tempi, avevano altri bambini che avevano avuto la fortuna di avere sorelle più grandi o quasi coetanee, cugine che vivevano vicino, o erano andati fin da piccolo a scuole materne ed elementari con classi miste. Da quell’anno, invece, ho iniziato a provare molto interesse per la tecnologia e la scienza. Per quanto riguarda la prima, lo dimostra anche il piacere con cui, insieme alla bambina dell’incidente con il martello che ho raccontato prima, mi sono cimentato a Legri nella costruzione della casa sull’albero. Ma anche quello con cui, avendo visto i bambini maschi autocostruirsi delle slitte da erba, poi volli provare a costruirne una anche io, utilizzando legni, seghetto, martello e chiodi. 

Foto di gruppo dei maschi che hanno ricevuto la Prima Comunione nel 1968. Io credo di essere il primo da destra nella terza fila, con il viso nascosto da un altro bambino, ma con i riccioli sporgenti. Molti di questi bambini erano sia miei amici del cortile sia compagni di classe. Allora la Prima Comunione e la Cresima di ricevevano in seconda elementare.

A Milano, invece, in quel periodo ho stretto una forte amicizia con un bambino del condominio che aveva la mia età e con cui frequentavamo anche la stessa classe elementare. Ricordo ancora come fosse ieri che un giorno, io e lui abbiamo percorso la stessa strada insieme alle nostre madri. Mentre le mamme parlavano delle loro faccende, io e lui ci siamo raccontati di come ad entrambi interessassero gli oggetti elettrici o elettronici. A tutti e due capitava di smontare quelli che erano rotti, prima che venissero buttati. Diventammo grandi amici e iniziammo a passare del tempo insieme a smontare vecchi televisori e altri apparecchi. Ma, a me in particolare, interessavano anche alcuni argomenti scientifici, fra cui la mineralogia, la chimica e l’astronomia. A Legri raccoglievo e catalogavo pietre che trovavo durante le passeggiate fuori dal borgo. A Milano, furono decisivi un paio di regali che ricevetti in occasione di una festa di compleanno a casa e di un Natale. Il primo fu un Piccolo Chimico e l’altro una scatola contenente un piccolo telescopio, un astrolabio e un libro sugli oggetti del cosmo. 

In seguito io, mio padre e mio fratelli facemmo diverse gite con il gruppo speleologico mineralogico dei dipendenti della Banca Commerciale Italiana, dove lavorava nostro padre. Ricordo di essere stato a visitare delle grotte e delle zone dove si poteva, anche utilizzando un martello e uno scalpello, trovare minerali e fossili.

(puntata aggiornata il 02/05/2022)

(riproduzione riservata - Riccardo Cervelli 2022)

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