Autobiografia giovanile - Cap. 10 - Nuove casa e scuola

 Nell’estate 1967 la nostra famiglia traslocò dalla casa di via D’Alviano, in zona Lorenteggio, in quella in zona Vigentino, in fondo a via Ripamonti, dove allora c'era il capolinea del tram 24 (via Noto).

Durante un sopralluogo compiuto nei mesi precedenti il trasferimento, mi era rimasta impressa la grande chiesa dedicata alla Madonna di Fatima, che era stata costruita qualche anno prima in attesa che nel quartiere sorgessero nuovi condomini e crescesse la popolazione. Secondo una bellissima ricerca storica effettuata qualche anno fa dalla Parrocchia di Fatima (che utilizzerò anche per qualche altra informazione in seguito) la posa della prima pietra della chiesa avvenne il 9 aprile 1961. Il 7 ottobre 1962 si verificò l'intitolazione. Durante il citato giro con la famiglia nel quartiere ancora in costrizione, la chiesa mi era sembrata qualcosa di sproporzionato nel sorgere in mezzo al nulla. Inoltre, in quel momento il luogo ero chiuso e potemmp dare un’occhiata all’interno solo attraverso da una piccola finestrella di vetro incastonata in una porta laterale.

Leggo, sempre dalla ricerca effettuata dalla Parrocchia di Fatima, che il Vigentino era un comune che è stato annesso a Milano nel 1923, insieme a molti altri comuni alla periferia della metropoli.

Nei primi mesi di vita, il nostro condominio - posto proprio dietro la chiesa e fra i primi a sorgere nel quartiere - era numero civico di via Ripamonti, sebbene distasse da essa due o trecento metri circa. Per l’esattezza costituiva il 223 e la nostra scala era la g. Il condominio era composto da tra corpi di fabbrica: due abbastanza lunghi e all'incirca paralleli e uno più corto laterale. La mia famiglia aveva acquistato un appartamento di quattro locali con cucina abitabile e due bagni al quindi piano di una scala centrale del corpo di fabbrica lungo e posteriore. Quello davanti e proprio dietro la chiesa di Fatima. Il nostro, invece, aveva i portoni che davano sulla strada privata interna. Tutti gli appartementi del condominio avevano (e hanno ovviamente ancora) balconi e finestre su lati opposti. Una caratteristica che ho sempre apprezzato della nostra abitazione è che dal balcone principale potevamo vedere in basso la strada privata, davanti la parte posteriore della prima fila di case e, sulla destra, un bello scorcio di Milano e, nelle belle giornate, del Monte Rosa. Dal balcone dietro, invece, si vedevano campi coltivati e pioppeti, e, in lontananza, le case della zona Corvetto. Girando lo sguardo verso sud, si vedevano le cascine di Vaiano Valle abbastanza vicine. Più in lontananza si vedevano l'abbazia di Chiaravalle sulla destra e, un po' più verso Milano, palazzi dell'Eni di Metanopoli (San Donotato Milanese). Guardando sopra San Donato, si vedevano atterrare gli aerei sulla pista dell'aeroporto di Linate. Quando calava il sole, era divertente vedere le luci degli aerei in avvicinamento e in atterraggio. Si sentivano anche i fischi dei treni che arrivavano alla stazione di Milano Rogoredo dalla direzione di Bologna o di Pavia oppure andavano verso quelle città. E se il vento tirava da Est verso Ovest si sentiva  in sottofondo lo sferragliare delle ruote sulle rotaie.

Ricordo che in attesa che la ditta di traslochi Grillo ci recapitasse i mobili dal nostro precedente appartamento, dormimmo in quello nuovo su dei materassini gonfiabili. La prima notte, a un certo punto sentii il ronzio di numerose zanzare. Accesi una torcia a pile e scoprii che sulle pareti era pieno di zanzare ferme. Del resto, i campi tra il nostro condominio e Chiaravalle, molti secoli fa erano pieni di paludi. Furono poi i monaci cirstercensi dell'abbazia di Chiaravanne a bonificarli, costruire piccoli canali e a rendere i campi coltivabili. Dove però ci sono molti corsi d'acqua e chiuse si annidano le zanzare. Un fatto che mi restò molto impresso nei primi giorni di abitazione nel nuovo quartiere fu l'arrivo di furgoncini del Comune di Milano che disinfestavano i cespugli e il verde vicino a casa nostra per uccidere le zanzare. Utilizzavano dei cannoni che emettevano il liquido insetticita nebulizzata. Nostra madre, in quei momenti, ci gridava di chiudere tutte le finestre, perché la sostanza saliva addirittura fino al nostro piano e non faceva certo bene alla salute.


Io nel periodo della seconda elementare nel nuovo quartiere

Ai primi di ottobre, come usava in quegli anni, iniziò per me la seconda elementare e per mio fratello la prima. La scuola si trovava in via Noto, all'angolo con la via Ripamonti e di fronte al capolinea del tram 24. Il percorso a piedi avrebbe richiesto almeno un quarto d'ora buono. E per evitare ai bambini del nostro condominio e degli altri vicini di dover fare quella strada da soli, il comune di Milano predispose un servizio di scuolabus. Mi ricordo ancora il rumore fortissimo che faceva un vecchio autobus il quale entrava da uno degli ingressi della via privata a caricarci. Non ricordo per quanto tempo durò quel servizio o se i miei genitori decisero di utilizzarlo sempre. So che a un certo punto, ad accompagnarci la mattina a scuola era solitamente il padre di un bambino che abitava nella nostra scala e che aveva un Maggiolone verde. Ricordo con simpatia che ci stipavamo, con altri bambini, sui sedili di questa macchina. Se non sbaglio, almeno uno o due anni (per me la seconda e la terza), nostra madre ci iscrisse alla refezione e al doposcuola. Prima che iniziasse la refezione, ricordo ancora che i locali della scuola si riempivano di un odore di pasta asciutta al ragu e altri cibi caldi. Alla refezione, conobbi qualche bambino delle ultime classe (quarta e quinta) che molti anni più tardi divennero miei amici e che, con alcuni, siamo ancora in contatto. 

La nostra classe, invece, era tutta maschile. Eravamo fra i 37 e i 40 in genere, perché la scuola non era grandissima (era stata costruita nel 1923, stesso anno dell'annessione di Vigentino a Milano) ed era l'unica in una zona in cui c'era stata una forte immigrazione dal Meridione. La maestra di cognome faceva Gidino ed era fra le insegnanti più avanti con l'età. Purtroppo per lei era un po' claudicante. Per questo motivo non uscivamo mai in cortile o andavamo nelle piccola palestra. Era molto materna e religiosa. All'inizio delle lezioni ci faceva recitare alcune preghiere. I banchi avevano il buco per il calamaio. E noi lo utilizzavamo. Ci portavamo da casa l'inchiostro, le penne con il pennino e la carta assorbente. un volta mi capitò che un compagno un po' indisciplinato attaccò un pennino, intinto nell'inchiesto, a un filo, e lo fece penzolare sul quaderno che stavo utilizzando in quel momento minacciandomi di sporcare il foglio se, in giorno dopo, non gli avessi portato una calamita. In quel periodo le calamite andavano di moda fra noi bambini.

Quel fatto, che peraltro non mi traumatizzò assolitamente, era potuto avvenire anche perché, essendo la classe molto grande e i bambini tantissimi, la maestra non vedeva bene (o non voleva) quello che avveniva agli ultimi banchi. Ed io, almeno in seconda, ero nei banchi più in fondo. Quell'anno, inoltre, non andavo neanche molto bene. Un motivo, forse, è legato al fatto che non avevo frequentato la prima insieme alla maggior parte degli altri bambini. Il secondo forse alla mia tendenza a distrarmi e fare quello che volevo con chi volevo. Il terzo, forse, è che in prima avevo seguito un programma e un metodo di studio diverso. Fatto sta che un giorno fui chiamato alla cattedra dalla maestra, la quale mi chiese di indicare, su una mappa geografica dell'Italia, quale fosse la regione Lombardia. Se c'era da studiare le regioni italiane o la Lombardia io di certo non lo avevo fatto, perché magari non lo avevo scritto sul diario. Fatto sta che mi trovai spiazzato, ma mi ricordavo vagamente che era nel nord dell'Italia e quindi, invece di non rispondere, cerchiai con la mano tutto il settentrione. La maestra si arrabbiò molto. Evidentemente dovevo avere difficoltà anche in altre materie - ritengo sempre perché avevo seguito una programmazione diversa in prima elementare ed ero distratto dai nuovi compagni che iniziavo a conoscere la prima volta. Fatto sta che, in quell'epoca, c'era ancora l'esame di stato di seconda elementare e che - secondo quanto dissero a mia madre - rischiai la bocciatura. Se non mi bocciarono fu grazie alla maestra di mio fratello, che faceva parte della commissione d'esame e che, forse, riconobbe la causa dei miei problemi (conoscendo anche mio fratello e la mia famiglia) e convinse gli altri maestri che li avrei superati l'anno successivo.

(riproduzione riservata - Riccardo Cervelli 2022)


2 commenti:

  1. Maria Gidino…. Aveva avuto la poliomielite…😩
    La ricordo con tenerezza….
    Moltissimi anni dopo quando mi sposai a Salerno…. Mi mando un telegramma…. L’ho ancora via…🥰

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  2. Ciao, grazie del tuo commento. Io ho avuto questa maestra per tre anni. Anche da ragazzo ogni tanto andavo a trovarla in classe. Anche a me ha scritto una lettera che conservo con affetto.

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