Autobiografia giovanile - Cap. 32 - Classe mista

 Verso la fine del 1976, come ho già scritto, cambiai scuola perché così era stato anche consigliato ai miei genitori. Fu una scelta azzeccata, perché il mio futuro all’Einstein ormai era compromesso e io stesso non so come avrei potuto resistere in quell’ambiente sotto il profilo disciplinare. Certamente mi dispiacque lasciare alcuni compagni con i quali si era stretta amicizia nei due anni scolastici precedenti, ma con alcuni restai amico anche negli anni successivi. 

Sempre negli ultimi mesi del 1976 avevo, come ho già accennato, girato diversi luoghi di ritrovo dei giovani della sinistra extraparlamentare, spesso anche con visioni con diversi punti di contrasto fra loro. Ero proprio un cane sciolto. A un certo punto iniziai anche a frequentare la “casa occupata” di piazza dell’Assunta, di fronte all’oratorio che era stata la mia seconda casa fino ai primi mesi dell’anno. Qui cominciai a conoscere persone, la maggior parte delle quali le conoscevo di vista fin da quando ero piccolo. Quelle che conobbi inizialmente avevano visioni di sinistra a livello politico, ma non erano militanti. In quella palazzina disabitata (vi abitava solo una signora in un appartamento al piano terreno) e in stato di degrado, nel 1975 avevano fondato un Circolo giovanile. Ricordo che ci avevo fatto una visita veloce poche settimane dopo che era nato e in occasione di una festa che avevano organizzato in giardino. Alcuni di loro mi erano piaciuti per il modo di fare aperto, gentile e per l’abbigliamento vagamente hippie. Quando, agli inizi dell’inverno 1976-1977 entrai di nuovo in quella casa occupata, il Circolo giovanile non c’era già più come entità organizzata, ma i ragazzi che lo avevano fatto nascere continuavano a ritrovarsi lì. 

Andai in quella casa occupata con dei miei nuovi amici, e in quel momento la mia intenzione era ancora quella di coinvolgere più persone possibili in attività di tipo politico. Invece, fui io ad essere attratto verso una nuova dimensione più culturale che politica. Dopo che nei primi giorni avevo detto ai miei amici che la ritenevo una cosa sbagliata, un pomeriggio provai a fumare una canna. I miei amici che già lo facevano da un po’, dopotutto, stavano bene, erano intellettualmente impegnati, non mi sembravano delle persone da salvare. Scoprii che il fumo non aveva effetti sconvolgenti, rendeva solo più euforici e disinibiti nel parlare, accentuava alcune percezioni, lasciava intatto l’autocontrollo rispetto a un’ubriacatura. A differenza delle sbornie, poi, non lasciava sensi di malessere fisico e psicologico quando finiva l’effetto. Nei tempi successivi continuai a fare tutto quello che facevo prima, a livello di attività politica e frequentazioni varie, anche se ogni tanto mi capitava di fumare degli spinelli. Rispetto al me stesso di prima, però, sentivo di essere entrato in un nuovo territorio sul quale pesava uno stigma sociale. Io stesso, una volta, parlando con un nuovo amici, usai un termine (“farsi”) con cui involontariamente accomunavo il consumo di sostanze leggere con quello di droghe pesanti. Giustamente il mio amico me lo fece notare e non usai più quella parola. 

Riccardo Cervelli 17 anni 17yo
Io a 17 anni circa

Queste nuove amicizie mi portarono ad aumentare il mio interesse verso la musica e verso tematiche attinenti più ai temi di liberazione personale che a quelli di cambiamento politico. In quel periodo iniziai ad acquistare nuove riviste. Oltre a Ciao 2001, cominciai a comprare il mensile Re Nudo. In quel periodo questa rivista pubblicava molti articoli sulla liberazione sessuale, sulle esperienze dei centri giovanili, sulle lotte del sottoproletariato per l'emancipazione socio-culturale (oltre che economica) e sulla musica popolare. Continuai anche ad acquistare una rivista di musica contenente articoli, interviste e servizi fotografici sui gruppi musicali che mi interessavano in quel periodo, con diverse incursioni anche nel mondo del jazz. Nel 1975 compravo Muzak, che chiuse quell’anno e di cui prestai tutte le mie copie a mia zia Paola, che poi si dimenticò di restituirmele. Dal 1976 iniziai a comperare il mensile Gong, fondato da alcuni giornalisti di Muzak e più o meno improntato allo stesso modo.  

La militanza politica continuò ancora attivamente, soprattutto grazie alla contemporanea frequentazione del Circolo Giovanile Romana-Vigentina, alla partecipazione a manifestazioni con i gruppi di Autonomia Operaia e ad altre insieme ai compagni impegnati politicamente nel liceo Sesto, o Donatelli a seconda delle preferenze in fatto di nome da utilizzare per indicare la stessa scuola. 

Il primo impatto con il nuovo liceo fu, ovviamente, con la mia classe (terza C) e i suoi insegnanti. Trovai meravigliosi sia la prima che i secondi. Per la prima volta dalla prima elementare mi ritrovai in una classe mista. Mi fece un certo effetto essere circondato per diverse ore al giorno, in un’aula scolastica, sia da ragazzi che da ragazze. Le ragazze stavano per lo più in banco fra loro e i ragazzi idem. Mi ricordo ancora la prima aula. Era rettangolare, ma arrotondata, poiché così era la scuola, un ex clinica. Era molto più piccola di quelle dell'Einstein, ma anche gli alunni erano meno.

Non appena arrivai nella nuova classe, i miei nuovi compagni fecero a gara per farmi sentire a mio agio e dimostrarmi la loro amicizia. In quel periodo ero un po' frastornato, sicché mi sentii come un bambino che ritrova il calore dei propri genitori dopo essersi smarrito. Anche i professori mi apparvero meno formali e più disponibili di quelli dell'Einstein. Nel mio liceo precedente o erano troppo severi e arroganti, o si comportavano comunque in modo freddo e nervoso. Il che si rifletteva sugli studenti, che in massima parte finivano per diventare o indifferenti o competitivi o indisciplinati. Nella nuova classe mi fu spiegato che a ognuno veniva attribuito un soprannome. Ma mentre nella vecchia classe (anche se bisogna tenere conto che eravamo più immaturi) si sceglievano soprannomi che rappresentavano prese in giro di una persona (anche se in senso bonario), nella nuova l'attribuzione aveva come obiettivo solo quello di evitare gli scontati nomi e cognomi a favore di qualcosa di più fantasioso. È stato qui che, per la prima volta, mi sentii chiamare “Richard Brains”, cosa che si ripeterà anche nei decenni successivi in varie situazioni. Mi divertì il fatto di avere, come compagni di banco, due ragazzi che avevano come cognomi entrambi nomi di animali alterati con la stessa desinenza.

Sebbene nella scuola vi fosse qualche centinaio di studenti militanti in gruppi extraparlamentari di sinistra, nella mia classe non c'erano ragazzi impegnati nell'attività politica. Anzi, uno dei miei due compagni di banco si definiva di destra, ma non sembrava affatto un militante. Poi c'erano tre o quattro altri ragazzi e ragazze che si potevano definire simpatizzanti di sinistra. La maggior parte dei miei compagni di classe, comunque, non dava mostra di identificarsi con una parte politica. Quello che mi importava di più, comunque, è che erano tutti simpatici, aperti o comunque tranquilli. Le ragazze erano le più calme e composte nei banchi. Una aveva i capelli castano chiari ondulati e pettinati in un modo tale che sembrava che non si muovessero mai. La sua testa sembrava quella di una statua greca. Ai miei occhi aveva un'aria misteriosa e, nonostante non sentissi di avere molte cose in comune con lei, in un certo senso mi attraeva. 

Durante il primo anno svolsi la mia attività politica in modo abbastanza discreto. Non mi assentavo troppo dalla classe per stare in "aula-studenti", non litigavo con i professori. I miei rapporti con gli altri militanti di sinistra divennero però subito abbastanza stretti anche se, essendo l'ultimo arrivato, non godevo di particolare notorietà. Un problema che non tardai a risolvere. Durante una manifestazione nelle strade del quartiere (gli studenti del Sesto erano addirittura in grado di formare piccoli cortei da soli) inventai uno slogan che ebbe abbastanza successo. Dato la nostra preside si chiamava Teresa Pomodoro, e il ministro della pubblica istruzione in carica si chiamava Malfatti, coniai la frase: "Pomodoro al forno, Malfatti di contorno". Fu forse la mia prima prova di copywriting. 

Tra ragazzi e ragazze di questo gruppo ci si baciava sempre quando ci si incontrava: anche sulla bocca. E io ci presi gusto a baciare soprattutto due o tre compagne che mi piacevano. Ma continuavo ad essere il Riccardo che non osava e che si limitava a fare quello che per prime facevano le ragazze con me. In quel periodo non avevo neanche più una ragazza, neanche con una relazione platonica.

(riproduzione riservata - Riccardo Cervelli 2022)



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