Autobiografia giovanile - Cap. 31 - Nuovi amici e nuova scuola

 Rientrati in Italia dal viaggio in Francia, riportammo la roulotte al camping a Ballabio, e mentre nostro padre era ritornato al lavoro, noi figli con nostra madre ci fermammo per un po’ di tempo in campeggio. Del resto, i miei avevano deciso di tenere la roulotte in campeggio, invece che in un deposito, e avevano pagato un abbonamento annuale ai proprietari del Camping Grigna, una coppia di coniugi molto simpatici che non aveva figli. Probabilmente, in quei pochi giorni al campeggio non mi divertii molto perché non c’erano più tutti i ragazzi conosciuti nella prima parte dell’estate e quindi non dovetti soffrire il fatto di fare definitivamente rientro a Milano, dove avevo dei programmi ben precisi. 

Riccardo Cervelli 16 anni 16yo
Io a Saintes-Maries-de-la-Mer nell'estate 1976

Il primo era quello di prepararmi per i tre esami di riparazione che mi avevano dato alla fine dell’anno scolastico precedente. Sicuramente, fra le materie da recuperare, c’era matematica e forse fu anche quello un periodo in cui, per farmi aiutare nello studio, andavo a casa della maggiore di tre miei cugini di terzo grado. Dato che mio zio paterno Alfredo non si era mai sposato e mio zio materno Miro era sposato ma non avevano avuto figli, non avevo cugini di primo grado. Invece, una cugina di primo grado di mia madre aveva avuto questi tre figli, che insieme ad altri cugini di terzo grado, consideravo come fossero cugini di primo. Dunque, questa mia cugina, biologa, era sposata con un ingegnere, che quando avevo bisogno mi dava ripetizioni di matematica. Infatti, per quanto fin dalle medie non avevo mai avuto bisogno di un aiuto in questa materia, da quando ero passato alle superiori, per via dei ritardi accumulati nello studio a casa a causa di varie attività extrascolastiche - fra le quali primeggiava la politica - mi ritrovai più volte ad arrivare al punto di avere necessità di ripetizioni. E questo non valse solo per matematica, ma anche per latino. In questo caso mia madre chiedeva di aiutarmi direttamente a sua cugina, che conosceva molto bene questa materia anche se per via delle conseguenze della guerra non aveva potuto proseguire gli studi, o la figlia minore di mia cugina, che invece era laureata di Lettere. 

Per tornare alla matematica, oltre all’ingegnere marito della maggiore di questi tre cugini di terzo grado, per un certo periodo fui inviato dalla mia ex professoressa di matematica e scienze delle medie, con la quale instaurai un rapporto anche molto empatico, al punto che - come del resto facevo anche con la cugina di mia madre - a volte parlavo anche della mia vita privata. Con l’ingegnere c’era invece un altro lato simpatico nel nostro rapporto. Dato che conosceva la mia passione per l’elettronica, alla fine di ogni lezione mi regalava qualche circuito integrato che si era portato a casa dal lavoro. Già in una delle puntate precedenti ho scritto che acquistavo regolarmente delle riviste di elettronica, in particolare CQ Elettronica ed Elettronica Pratica. Quindi avevo già notato quei circuiti integrati in qualche articolo, e quindi ero felice di ritornare a casa con quei piccoli regali del marito di mia cugina. Come ho già scritto nella puntata precedente, alla fine venni promosso e ricomincia la scuola. 

Il secondo programma che avevo in serbo per le settimane precedenti la ripresa della scuola e fare qualcosa per contribuire al mantenimento di un certo livello di attività politica all’interno dell’istituto. Già dopo la fine del precedente anno scolastico, avevo iniziato a individuare dei ragazzi del mio quartiere il procinto di iniziare il primo anno al liceo scientifico Einstein. Alcuni ce n’erano e - tranne la mia ex fidanzatina di due anni all’oratorio - altri li conoscevo solo di vista. Altri ancora avevo deciso di non prenderli in considerazione. Intanto, comunque, ero sicuro di poter coinvolgere anche qualche ragazzo e ragazza della mia età con i quali, già nei due anni precedenti, avevo partecipato alle attività politiche promosse dai nostri compagni più grandi, che però, anno dopo anno avevano concluso il liceo.

Quando ripresero le lezioni, insieme ad altri compagni che già avevano fatto un po’ di attività politica con me, organizzammo una riunione nella sede di non ricordo più quale comitato situata in uno scantinato delle case popolari che si affacciano su viale Molise e piazzale Cuoco. Anche in quell’epoca io continuavo a considerarmi un “cane sciolto” e quindi mi sentivo libero di fare amicizia con ragazzi che, al contrario di me, erano più inseriti in un partito, gruppo extraparlamentare o comitato, e quindi potevano anche recuperare o offrire dello spazio per organizzare delle riunioni “extra” rispetto alle loro. Dopotutto, pensavo, al di là di qualche differenza ideologica e di approccio alla lotta politica, dovevamo remare tutti dalla stessa parte.

Ricordo che in quel periodo avevo tirato fuori uno spirito organizzativo molto rigoroso. Per esempio, prima di quella riunione, avevo già stilato una lista delle persone che avevo invitato e che mi aspettavo di vedere. Non ricordo più se feci un vero e proprio appello, ma di sicuro controllai chi c’era e, se c’era qualche persona che non mi ero aspettato o non conoscevo, certamente fui ben felice di aggiungerla all’elenco. Credo anche che fui io a presiedere la riunione.

Purtroppo, però, erano passati all’università quasi tutti gli studenti più grandi di me che, negli anni passati, erano stati fra i promotori di qualche iniziativa politica, anche se non riuscirono mai a organizzare la stessa quantità di attività che si svolgevano nelle altre scuole medie superiori statali di Milano. Quindi, da quell’anno, io e i miei amici ci trovammo ancora di più a doverci adeguare alle normative per la convocazione delle attività assembleari previste dagli ormai entrati in vigore Decreti Delegati (emanati fra il luglio 1974 e il maggio 1974). Ora bisognava seguire molti passi per convocare le riunioni di sezione e le assemblee di istituto. Quando io ero arrivato all’Einstein nell’autunno 1974, le prime si chiamavano ancora “collettivi” e le seconde semplicemente “assemblee”. E per convocarle non penso che si fosse ancora iniziato ad applicare le regole previste dai Decreti Delegati, ma che più semplicemente si chiedeva e si otteneva il consenso del preside. Preside che però, anno dopo anno, era stato sempre di più incitato a perseguire una gestione che non prevedeva l’”agibilità politica” presente nelle altre scuole statali di Milano. A esercitare queste pressioni era il genitore - che ho già citato - presidente l’associazione dei genitori chiamata Libera, che godeva della maggioranza dei consensi fra gli altri genitori e faceva il buon e cattivo tempo nel Consiglio d’istituto.

Fu così che, pur cercando di sfruttare al massimo gli spazi offerti dai Decreti Delegati per organizzare momenti di confronto fra studenti all’interno della scuola, per mantenere un certo livello di attenzione da parte degli studenti verso le tematiche che, io e gli altri compagni, consideravamo importanti per la democrazia, l’antifascismo, una scuola più egualitaria e non funzionale al capitalismo, e così via, decisi di spingere molto anche su attività da svolgere appena fuori dalla scuola. Fra queste i volantinaggi, l’affissione di manifesti, brevi comizi con il megafono (che mi era stato ormai affidato a tempo indeterminato dai vecchi compagni che avevano finito il liceo, e che tenevo nascosto in uno spazio comune delle cantine del mio palazzo) e picchetti in occasione di scioperi. Per cercare di effettuare picchetti un minimo efficaci mi mettevo personalmente davanti alla porta principale o alla porta carraia della scuola, coinvolgevo qualche altro studente della scuola e chiedevo l’aiuto dei compagni del vicino istituto Verri, che venivano volentieri. Quindi feci conoscenza con alcuni militanti del Comitato Antifascista Vittoria (Caf), che presi anche a frequentare e al quale, sempre in occasione di qualche sciopero, chiesi di mandare qualcuno a fare picchetto. Da quel momento, vidi che ogni volta che era previsto uno sciopero che poteva implicare la presenza di un picchetto, prima dell’inizio di questo erano già presenti davanti alla scuola dei blindati della Celere. Mi chiesi se per caso le mie telefonate di richiesta d’aiuto per i picchetti non venissero intercettate. Ovviamente all’interno della scuola non c’erano solo studenti che non erano interessati a saltare le lezioni per partecipare agli scioperi (e da noi erano sicuramente la maggioranza), ma c’era anche qualche studente che dichiarava apertamente di essere contrario all’attività politica che io e gli altri compagni volevamo “imporre” agli altri. La mattina del 21 ottobre 1976, all’esterno della scuola, alcuni studenti, guidati da uno in particolare, distribuirono un volantino firmato Studenti Indipendenti Einstein in cui si condannava un’iniziativa di picchetto da noi organizzata nei giorni precedenti e che si concludeva con una frase scritta in maiuscolo in cui si definivano promotori dei picchetti “CERVELLI CHE PENSANO MALE E AGISCONO allo stesso modo”. Tutti capirono a chi si riferisse quel Cervelli. 

Il volantino degli Studenti Indipendenti Einstein in cui il nome viene suggerito

Devo dire, però, che non si poteva dire che io fosse una persona “cattiva”. Anzi, in occasione di un picchetto, venni avvicinato da un padre il quale cercava proprio me. Mi disse che suo figlio era uno studente che aveva simpatie per di destra e mi chiese se potessi fare in modo che nessuno gli facesse male. Io promisi a questo padre che sicuramente avrei impedito che fosse successo qualcosa a mio figlio. Il padre mi ringraziò e si allontanò tranquillizzato. Io scorsi il ragazzo e controllai che non fosse infastidito da nessuno. Poco dopo sciogliemmo il picchetto.

Ciononostante, noi reduci delle ultime “lotte studentesche” all’Einstein, nel corso di un’assemblea tenuta sempre all’inizio della scuola, riuscimmo a far approvare l’organizzazione di alcuni giorni di “autogestione”. In realtà, durante quei giorni, non riuscimmo a coinvolgere effettivamente molti studenti nelle attività che avevamo previsto, e quindi la concludemmo. Ricordo ancora bene che all’uscita dell’ultimo pomeriggio di autogestione, alla fermata della 90, feci conoscenza con un ragazzo più grande che aveva anche lui partecipato - in modo piuttosto discreto, per via del suo carattere abbastanza riservato - all’autogestione. Parlando con lui scoprii che frequentava un gruppo di giovani di Autonomia Operaia che desiderai subito conoscere. Da quel momento iniziai a passare molti pomeriggi con loro e partecipai anche all’occupazione dei locali di un vecchio negozio situato in un palazzo di Corso Lodi 6, già da tempo abitato “abusivamente” da alcune famiglie, soprattutto immigrate dal meridione. Fondammo in quell’occasione il Circolo Giovanile Romana-Vigentina.

Intanto a scuola, a mia insaputa, anche a livello degli “adulti” si parlava di me. Dopo l’autogestione - che come ho scritto non era stata molto partecipata e che si svolse in un clima piuttosto teso - si tenne un Consiglio d’Istituto. Nella scuola allora c’era un professore di storia e filosofia di sinistra, che era l’unico a rappresentare nel Consiglio d’istituto i docenti con questo orientamento. Questo professore era diventato anche amico di mio padre, che forse conosceva per questioni extrascolastiche: forse era cliente dell’agenzia bancaria di cui mio padre era direttore. Dopo il Consiglio d’istituto, in via riservata avvertì mio padre che, durante la riunione dell’organo collegiale era stato fatto ripetutamente il mio nome. Qualcuno aveva detto addirittura che frequentavo fiancheggiatori di organizzazioni terroristiche (mi ricordo che venne fatto in particolare il nome dei Nuclei Armati Proletari, Nap, che conoscevo a malapena). Mi sembra che questo professore disse che a fare queste affermazioni fosse stato il solito presidente dell’associazione dei genitori Libera, nonché presidente del Consiglio d’Istituto, e che fra gli studenti di sinistra - soprattutto quelli che ormai se n’erano andati via - si vociferava che avesse a che fare con i servizi segreti, quelli “paralleli” in particolare. E forse questa voce non girava solo fra alcuni di noi studenti. 

Fatto sta che, considerate le accuse che erano state fatte nei miei confronti, i possibili legami polizieschi del presidente del Consiglio d’Istituto, e dietro lo stesso suggerimento del professore di storia e filosofia, i miei decisero di farmi cambiare scuola. In quei mesi, mia madre aveva conosciuto alla Forza e Coraggio, una struttura sportiva frequentata dalle mie due sorelle, una persona che conosceva la preside del liceo scientifico Donatelli. E si riuscì a trasferirmi presso quell'istituto, che io avevo sempre considerato un esempio di scuola in cui l’agibilità politica era elevata. Insieme ad altre scuole, fra le quali primeggiava l’Istituto Tecnico Molinari, il Donatelli, allora meglio conosciuto fra noi studenti come il “Sesto”, era anche fra i maggiori apportatori di studenti che formavano i cortei di protesta di quegli anni. In quel momento, senza contare che alla fine era più lontano dell’Einstein, ma non esageratamente (un quarto d’ora in più di filobus), quella era proprio la scuola per me.

(riproduzione riservata - Riccardo Cervelli 2022)








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